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Come avranno fatto i soldati italiani e austriaci ad arrivare con i loro zaini, le armi, l'equipaggiamento sulle vertiginose pareti alpine? Di tutto questo movimento, di questo sistema; di quel che avevano elaborato i teorici della guerra verticale; di quel che vissero, videro e scrissero i combattenti; del formarsi di miti e antimiti, racconta Diego Leoni in un saggio storico che si legge come il romanzo di un'epoca.
Come avranno fatto i soldati italiani e austriaci a vivere e sopravvivere tra terra, fango, freddo, ghiaccio, roccia e acciaio? Quei soldati che, prima della vittoria, avevano dovuto conquistare la montagna. La guerra italo-austriaca fu soprattutto una guerra di montagna e la guerra di montagna fu molte guerre: di masse sugli altopiani, alpinistica sulle vette e sui ghiacciai, sotterranea in tutti i settori, tecnologica e di saperi. Immaginata e preparata come una sfida di breve durata, inchiodò i suoi attori per piú di tre anni su un ambiente ostico e ostile, mai pensato prima come spazio di insediamento di centinaia di migliaia di uomini. Per combattere e sopravvivere lassú, gli eserciti si impadronirono dello spazio alpino, delle sue genti, delle sue piante, dei suoi animali, delle sue risorse: lo attrezzarono, lo scomposero, lo ricomposero, lo artificializzarono, portando in quota un numero iperbolico di animali, di armi, di mezzi, di materiali. Misero in campo nuove tecniche; svilupparono all'estremo l'alpinismo; e infine sprofondarono nelle viscere della montagna: per difendersi dalla Natura e per offendere il nemico da sotto.
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