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Ritengo la Seierstad una delle migliori giornaliste che vi siano al mondo, ogni qual volta si legge un suo libro riesce a dare sempre un'immagine nitida e vera di ciò che racconta. Andando in Cecenia quando tutti i giornalisti occidentali (e non solo) erano fuggiti via Lei ha non solo rischiato la pelle ma è anche riuscita a dare una voce, se pur piccola, a tutte quelle persone completamente dimenticate dai media occidentali. Fantastica
www.panchinedimilano.com Dopo la “pacificazione” ad opera dell’esercito di Putin, i media da qualche anno hanno smesso di parlare di Cecenia. E forse il vero valore di questo libro è quello di condurci per mano, con una narrazione pacata e piena di umanità, nel mondo devastato di Grosny – un mondo in cui la realtà della sofferenza e della crudeltà supera l’immaginazione: madri che vedono sparire i loro figli nel giro di pochi mesi, ragazzi che tornano dal carcere seviziati nel corpo e della mente, giovani soldati russi inviati allo sbando sui campi minati dai “terroristi” ceceni, e dappertutto bambini abbandonati, ridotti ad uno stato bestiale e pertanto irrecuperabili al vivere civile. A differenza del Libraio di Kabul, opera di grande successo che la giornalista norvegese scrisse nel 2001, questo lavoro ha una struttura disomogenea. E’ una collezione di storie di vite violate ( di qui il titolo originario norvegese De Krenkede). Ma è anche la cronaca dell’esperienza personale della Seierstad in Cecenia, iniziata nel 1994 quando a 24 anni, con una buona dose di coraggio e incoscienza, si catapultò nel paese durante la prima guerra russo-cecena. Non mancano infine escursus nella storia della Cecenia, da secoli in lotta con la Russia. Questo mix mi ha dato l’impressione di un’opera non pienamente compiuta, certamente lontana stilisticamente dal Libraio, che pure rivelava la tendenza a una tecnica di reportage a cavallo con la narrativa. Questo approccio non vuole necessariamente dire passare senza scrupoli dalla verità alla finzione - come la causa intentatale dal libraio afgano potrebbe far pensare- ma probabilmente farebbe storcere il naso a parecchi reporter d’assalto, come Ettore Mo o la stessa Politkovskaya, che pagò con la vita i suoi reportage sulla Cecenia . Questioni di stile a parte, quando leggiamo le storie struggenti che la Seierstad ci propone e, soprattutto, ricordiamo che dietro ognuna di esse c’è un atto di eroismo - parliamo di un paese in cui la libertà d’espressione e la denuncia sono punite con l’eliminazione fisica non solo del “colpevole” ma anche dei suoi parenti e amici - non possiamo che chiederci con quale immane forza d’animo ogni giorno quelle madri, quei padri e quei figli affrontino l’esistenza. www.panchinedimilano.com
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