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Le variazioni Reinach
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Le variazioni Reinach - Filippo Tuena - copertina
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variazioni Reinach

Descrizione


Il lavoro di revisione compiuto dall'autore per questa edizione ci consegna una versione completamente rinnovata: la storia vera di una ricca e colta famiglia ebrea, figlia di una società spensierata sino alla sventatezza, che nel giro di pochi decenni finirà vittima delle persecuzioni razziali. Nella Parigi d'inizio Novecento, il matrimonio tra Leon Reinach e Beatrice de Camondo unisce le sorti di una stirpe di banchieri di origine tedesca con quelle dei nobili Camondo, il cui capofamiglia, il conte Moise, anch'egli facoltoso banchiere, ha cresciuto i propri figli nel lusso e negli ozi salottieri, circondati da un compiaciuto stuolo di letterati, dame e artisti. Eredi di questo mondo in declino, che la Grande Guerra aveva iniziato a falcidiare dei suoi elementi più giovani, i figli di Beatrice e Leon l'inquieto Bertrand e Fanny elegante cavallerizza - si ritrovano a vivere tempi funesti e tragicamente estranei a quell'epoca di fasti effimeri, trascinati infine insieme ai genitori nell'abisso della follia nazista. Uno scrittore ripercorre l'incredibile vicenda dei Reinach ricostruendo frammento dopo frammento i destini individuali, mosso anche dalla ricerca di una sonata perduta di Leon Reinach ritrovata ottant'anni dopo la sua prima esecuzione (e che grazie a questo libro è tornata in repertorio). Come scrive l'autore, "un libro sulla nostalgia e sul conflitto tra il presente e il passato che giace e che però fortemente desidera ritornare in vita".
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Dettagli

2015
Tascabile
12 maggio 2015
384 p., Brossura
9788865592342
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Indice


Le prime frasi

Variazione su una visita al museo

La vede salire lo scalone attraversare le sale deserte come una perfetta padrona di casa; controlla ogni cosa, passa la mano sopra i ripiani delle commodes, scorre le dita tra gli intagli delle cornici, sistema col piede gli angoli dei tappeti arricciati.
Prima di lasciare ogni ambiente si volta per accertarsi che tutto sia in ordine e il suo sguardo ha un'espressione accigliata, fredda in contrasto con i suoi sentimenti di grande rimpianto, di profonda malinconia.
Ogni stanza le ricorda un momento, un evento che appartiene al suo passato irrecuperabile perché sa che ha ancora poco tempo a disposizione mentre avrebbe voluto passare tutta la notte ricordando il tempo trascorso, tutta la notte o forse ancora più tempo: una notte intera per ogni salone, una notte intera per ogni oggetto, per ogni ricordo, per ogni immagine e invece dovrà fare in fretta nei pochi minuti che durerà quest'ultima ricognizione che le sembra, sempre più, troppo frettolosa; abbandona la sua casa, le viene da pensare, come se avesse commesso un peccato eppure sa che non è così; è rigida è severa perché sta esaudendo la volontà di suo padre anche se con il dolore profondissimo che le attanaglia il cuore.
Nel ricordo intravede i suoi figli correre per la galleria, scendere di corsa il grande scalone, ridere mentre giocano nel giardino e nel ricordo ritornano le voci della servitù sommesse, sospirate, a volte timorose, in qualche caso sguaiate mentre un rumore meccanico le rammenta il rassicurante procedere del montacarichi che portava le pietanze in sala da pranzo e l'innaturale voce di suo padre, l'accento orientale, il tono esagerato molto alto o impercettibile, come se egli non sapesse modulare la voce e poi ricorda pochi attimi d'intimità col marito legati ai primi tempi del matrimonio e si stupisce che siano quelli e non altri i ricordi che ricorda; ricorda anche le lunghe e interminabili sere quando lei, Léon e suo padre parlavano in salone alternando grandi silenzi; ricorda il suono del pianoforte di suo marito, quelle melodie scheletriche intellettuali ma molto romantiche, un poco artificiose; un suono balbettante, solitario, perduto nell'immensità del palazzo troppo grande, l'era subito venuto da pensare, troppo grande e troppo vuoto, troppo distanti le memorie e le immagini; chi potrà mantenerle vive per l'eternità che le si para dinanzi come uno sconfinato grigio nebbioso paesaggio marino.

La figura di Beatrice scompare in fondo alla galleria ed è allora che lo scrittore sente le voci dei bambini, parole francesi come gli era accaduto almeno trent'anni prima a Roma in una triste stazione della metropolitana; una stazione quasi deserta di una linea che partiva dalla campagna e s'interrava soltanto nelle ultime due o tre fermate prima di giungere a piazzale Flaminio.
Aspettava il treno e con lui l'aspettavano soltanto una bambina appena adolescente e suo fratello più piccolo che parlavano ad alta voce e la volta deserta della stazione rimandava amplificato il suono di quelle parole francesi distorcendole; adesso nel ricordo non potrebbe ripetere neppure una di quelle parole perché troppo tempo è passato e troppo lontana è quella lingua anche se per certi versi molto vicina, prossima.
Ricorda questo: i due adolescenti scherzavano, ridevano, lui si disse da dove vengono queste voci, poi arrivò il treno e il rumore della motrice coprì ogni altro suono e prima di salire sul vagone pensò per quanto tempo dovrò aspettare prima che ritornino a visitarmi prima che il cerchio sia compiuto, ora forse il cerchio si sta compiendo e la circonferenza perfetta ritrova la sua origine.

La sua mente compie spesso questi balzi nel tempo e ora è perplesso perché l'immagine è scomparsa e le voci si sono fatte distanti e si trova a passeggiare per i saloni distratto, infastidito da tanto lusso e dispiaciuto per la fugacità della sensazione; se non fosse per un altro adolescente che lo incuriosisce sarebbe già uscito perché da molto tempo lo annoiano i musei, li considera luoghi funebri, cimiteriali, ma adesso segue con lo sguardo quel piccolo italiano di dieci, undici anni che corre avanti e indietro tra la biblioteca e il salon bleu; cerca di capire quello che sta dicendo al padre; i due scherzano come fossero a casa loro e si domanda che hanno da scherzare in un museo, perché fanno tanto rumore e parlano a voce alta, indifferenti al fastidio che procurano agli altri visitatori, poi capisce il gioco: fingono di essere i proprietari del palazzo, sognano di abitarci; trasformano il museo in una casa, gli danno un'anima, gli viene da pensare.

Valutazioni e recensioni

Renzo Montagnoli
Recensioni: 4/5

Questo è un libro sulla memoria, ma non quella dell’autore, poiché per età e assenza di motivi di contatto non avrebbe potuto esserci. E’ un libro in cui il ricordo deriva da oggetti, immagini che suscitano l’interesse di chi osserva e che lo inducono a cercare cosa vi sia dietro di essi, chi siano i personaggi delle fotografie, in che occasione le stesse siano state scattate, perché questa famiglia di israeliti può rappresentare un importante ritratto storico di un’epoca passata, in un susseguirsi di eventi ricostruiti con certosine ricerche, quasi un’opera archeologica. Non è pero solo questo, che pure è già molto. E’ anche il ricordo di una tragedia maturata nel corso della seconda guerra mondiale. L’autore, al riguardo, si deve essere posto le due domande che seguono e che le cui risposte fanno di questo libro un vero e proprio caso letterario. Si può scrivere del dramma dell’Olocausto narrando la vita di una famiglia che lo ha subito? Certamente sì. E’ possibile descrivere la genesi di questa tragedia seguendo la storia familiare di alcune vittime? Indubbiamente, ed è quello che ha fatto Filippo Tuena con Le variazioni Reinach, un libro singolare, una commistione di romanzo storico, di saggio, di esperienza autobiografica, da cui emerge la caducità degli uomini, la dolorosa sensazione che nulla sia dovuto al caso, ma che negli imperscrutabili fogli del destino ci sia già scritta tutta la vicenda, fatti, eventi a cui sembra impossibile opporsi. E’ così quasi casualmente che l’autore approda al Musée Nissim de Camondo a Parigi, dove dimorarono Leon Reinach e Béatrice de Comondo, e che si appassiona alla storia di queste famiglie, di spicco negli anni che vanno dalla fine del XIX secolo all’occupazione nazista. Non è che Filippo Tuena scriva in prima persona, anzi è sempre in terza persona che si esprime la voce narrante, quasi a voler evitare un coinvolgimento indiretto che potrebbe togliere quel senso di progressivo disfacimento che poco a poco permea il testo. Ma chi è Leon Reinach? E’ uno dei membri di una nobile e ricca famiglia ebrea che, sposando Béatrice de Camondo, altra agiata ereditiera, ha concretizzato due fortune alle quali sembra indifferente, avvertendo in sé invece la passione per la musica, quella classica, forse anche componendo, anzi di sicuro una composizione c’è stata, queste variazioni di cui Tuena, nella continua ricerca di documentazione, ha trovato lo spartito in un’università americana, un brano forse di non eccelso livello, ma che rappresenta il messaggio di un uomo segnato dal passaggio del tempo, da quell’involuzione che accompagna la storia di una famiglia. Ho avuto il piacere di ascoltare questa composizione, poiché l’autore mi ha fatto avere la copia di un’esecuzione; senza addentrarmi in aspetti tecnici, in cui Tuena è senz’altro più competente di me, ho avvertito in quelle note, apparentemente capricciose, una malinconia profonda, come un urlo soffocato di un animo che in quel mondo che cambia non si ritrova più e che presagisce una tragedia. Per certi versi questo libro mi pare possa costituire un antesignano di Ultimo parallelo, un autentico capolavoro costruito sulla base di esperienze che hanno provveduto a limare, a migliorare tutte quelle caratteristiche di novità introdotte proprio con Le variazioni Reinach. Come tutti gli esperimenti presenta ovviamente elementi riusciti ed altri meno convincenti, ma ciò non toglie che questo libro, senza raggiungere l’elevato livello di Ultimo parallelo, sia un’opera di eccellenza, scandita con un ritmo volutamente lento e anche distaccato, una narrazione che è frutto di una continua scoperta. Pur se la vicenda non è in grado di offrire il pathos della drammatica spedizione di Scott al Polo Sud, ha tuttavia il pregio di acquisire l’attenzione con misurata lentezza, facendo rivivere un’epoca, fra annotazioni del presente e ritorni al passato, con accenti tipicamente proustiani. Le variazioni Reinach è un libro da leggere, da meditare, perché più non ci siano olocausti, perché con i tempi che corrono e in cui il passato rischia di essere oscurato, se non travisato, la memoria sia sempre presente a ricordare che Leon Reinach era un uomo come noi, ma fu travolto dalla follia di altri uomini, una follia che richiama la bestialità sempre presente e che quindi potrebbe di nuovo tornare a emergere. In conclusione è un testo che conferma le qualità di Filippo Tuena, capace di analizzare personaggi, di comprendere e di assimilare le loro esistenze, trasferendo il tutto su carta per il piacere dei lettori che, in ogni caso, avranno la certezza di un arricchimento del proprio livello culturale.

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Maristella  Copula
Recensioni: 0/5

ricerca difficile, quella che il nostro scrittore intraprende, richiamato a dar vita e storia, da chi la vita l'ha persa nell'inferno tragico dell'Olocausto. Ed ecco, che da questa sorta di saggio, diario, romanzo, prendono piano piano corpo, i personaggi della vicenda, che non sono altro che piccoli punti inseriti in un contesto di una grande tragedia. Ecco, che si riodono le voci di Fanny e Bertrand, adolescenti ricchissimi facenti parte di una grande famiglia di banchieri, intellettuali e collezionisti, una famiglia che perdera' persino la coscienza dell'esistere, nell'immane ferita all'essere umano inferta dalla Storia. Lo scrittore si identifica con Leon, l'uomo che non vuole apparire e che dichiara " Bisogna provare tutto. Essere i primi e gli ultimi", lasciando dietro di se', solo, una Sonata per violino e pianoforte che ancora riecheggia nell'aria, anche alla fine del libro. Una melanconia pervade l'animo di chi ha perso i propri cari ed è rimasto unico testimone della storia della propria famiglia. Nel leggere il libro, si ripensa alle proprie estati bambine, in cui tutto "odorava di sole e polvere", ma cio' che è stato resta scolpito indelebilmente dentro di noi . Una prosa a volte brillante, a descrivere l'atmosfera felice delle feste e delle passeggiate al Bois de Boulogne, a volte cupa, foriera dell'amgoscia che come morsa rende incerto e poi terribile il destino di questa famiglia, a volte medidativa, nelle riflessioni dello scrittore stesso che utilizza pochissimo le virgole, quasi fosse divorato egli stesso dall'ansia e non potesse mettere pause al suo conoscere un destino che viene incontro all'esistere, quasi mai, come era stato immaginato. Un bel libro davvero, ricco anche di documenti e fotografie che fanno partecipe piu' strettamente il lettore in un coinvolgimento sentimentale ancora piu' profondo.

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Filippo Tuena

1953, Roma

Filippo Tuena è nato a Roma nel 1953. Con Le variazioni Reinach ha vinto nel 2005 il premio Bagutta, e due anni dopo si è aggiudicato il premio Viareggio con Ultimo parallelo. È anche autore di Il volo dell'occasione (1994; nuova edizione 2004), Cacciatori di notte (1997), Tutti i sognatori (1999, superpremio Grinzane-Cavour), Michelangelo. La grande ombra (2001; nuova edizione 2008) e Manualetto pratico a uso dello scrittore ignorante (2010). Ha curato un'antologia dell'epistolario di Michelangelo Buonarroti (2002), I diari del Polo di Robert F. Scott (2009) e il volume fotografico Scott in Antartide (2011). Dirige per Nutrimenti la collana Tusitala.

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