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Solo per raffinati amanti del racconto. Gli otto che compongono questa raccolta dello scrittore peruviano sono quasi tutti animati dal più classico dei moventi: il protagonista ha un desiderio che cerca di realizzare. Spesso non ci riesce, nonostante questo non stiamo per leggere storie di perdenti. C'è di fondo una malinconia positiva carica di sana accettazione per quelli che sono i limiti della vita di un uomo, dello spazio e del tempo che gli sono concessi, della volatilità delle occasioni, limiti che non pregiudicano e non rendono vana la tendenza al sogno nè l'importanza effettiva che questa ha nella realtà: in fondo concorre a determinarla e anche nel fallimento qualcosa di essenziale si è realizzato. Racconti che spesso sono allegorie di una morale o di un consiglio dispensato con saggezza e serenità. Con una scrittura affatto complicata, lineare, Ribeyro racconta ciò che vuole raccontare senza ambiguità, accompagna il lettore per strade che si lasciano camminare, lontano da certe indeterminatezze e fantasie inquiete tanto ricorrenti nella letteratura sudamericana, dosate quanto basta. Fa eccezione lo sconclusionato dialogo di "Conversazione al parco" che si presta a più di una interpretazione. Quanto al male, è il racconto a tinte gialle "La soluzione" l'unico in cui fa davvero capolino. Peccato che la materia universale che Ribeyro maneggia abilmente non riguarda il popolo e le sue tribolazioni - il rifiuto di una condizione che non si è scelta - bensì un mondo un po' snob in cui il dolore è un accessorio che dà un tocco di eleganza in più. "In realtà erano molte le donne che lo colpivano durante le sue aranciate mattutine, per la loro eleganza, la loro bellezza o la loro sensualità, ma si limitava a registrarne il passaggio per immergersi nuovamente nella sua lettura. Stavolta, però, questa donna gli fece battere forte il cuore".
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