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Un libro molto bello e coinvolgente non solo per l’argomento trattato, ma anche per lo stile. Leggere la vicenda drammatica dell’allontanamento di una bambina disabile dalla propria famiglia attraverso gli occhi perplessi ma ironici della sorella adolescente, da un lato sdrammatizza la vicenda perché evita il melodramma e dall’altra riesce a rendere in maniera più viva e partecipe tutta l’assurdità della vicenda. Mi è piaciuto moltissimo l’escamotage della ragazzina che traduce i dialoghi burocratici degli adulti in un modo così ironico da riuscire ad evidenziare l’assurdità di una situazione kakfiana. Ho apprezzato molto l’uso, credo voluto dall’autrice, di parole piemontese “italianizzate”, in particolare la nonna che “supata” le nipoti: l’espressione “supatare” mi fa fatto ricordare una mia zia che “supatava” in continuazione le nipoti ed era il nostro incubo! Un altro aspetto che mi ha colpito molto è il momento in cui alla madre chiedono di fare velocemente le valigie per la figlia scatenandole un dramma: mi ha fatto pensare a mia madre perché anche per lei preparare le valigie è quasi un rito che dura giorni e giorni e se le dovesse succedere di preparare una valigia in pochi minuti andrebbe in tilt. Proprio per questo, la descrizione di fare le valigie, atto in sé banale, mi ha fatto comprendere perfettamente l’angoscia e l’ansia di una madre a cui hanno portato via una figlia. Insomma, mi è piaciuto molto sia per l’argomento così toccante che per lo stile con cui è stato descritto.
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