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Recensioni Qualcosa resta

Qualcosa resta di Alessandro Mari
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Pedro ha un sospetto, una speranza, forse una fede: crede che il suo cane Lobo sia capace di fiutare la morte. E con un talento così, pensa Pedro, si potrebbe davvero impedire che le persone a cui vogliamo bene muoiano. Che non muoiano troppo presto, almeno. Invece, a morire anzitempo per un infarto è Ida, la compagna di Pedro, e la confessione che lui fa è scioccante: “L’ho ammazzata io. Le ho rotto il cuore”. Lei e lui si sono conosciuti nella clinica veterinaria di Aridosa, questa città speciale sorta dalle macerie di un borgo grazie alla volontà e all’ingegno della Professora: un luogo dove i vecchi possono andare incontro alla fine con dignità e dove migranti e seconde generazioni, accudendo loro, intanto reinventano l’Italia e la vita. Adesso che Ida è morta, Pedro si colpevolizza e si dispera: non avendo saputo leggere i segnali mandati da Lobo, non è riuscito a salvarla. Ma col tempo, anche grazie al fratello di Ida che ci racconta questa storia, Pedro capisce che Lobo non è attratto dall’odore della morte, ma da quello del buono che certe persone fanno. E allora da Aridosa, inseguendo la scia di quest’odore di buono, Pedro e Lobo iniziano un viaggio che è un’indagine nel sentimento del mondo. Dopo sei anni di silenzio, Alessandro Mari torna alla narrativa con una scrittura simbolica e al tempo stesso concretissima. A passi lievi, con umorismo e tenerezza, con realismo e poesia, si muove in ciò di cui più importa agli esseri umani e alla letteratura: l’amore, la morte, la forza benefica che viene dalla capacità di immaginare qualcosa che magari non si vede, sì, ma si sente eccome. Pedro ha un sospetto, una speranza, forse una fede: crede che il suo cane Lobo sia capace di fiutare la morte. E con un talento così, pensa, si potrebbe davvero impedire che muoiano le persone a cui vogliamo bene. Che muoiano troppo presto, almeno. Invece, ad andarsene anzitempo per un infarto è proprio Ida, la sua compagna, e lui si convince di averle “rotto il cuore”. Pedro e Ida si erano conosciuti nella clinica veterinaria di Aridosa, città speciale sorta dalle macerie di un borgo grazie alla volontà e all’ingegno della Professora: un luogo dove i vecchi possono andare incontro alla fine con dignità e dove immigrati e seconde generazioni, accudendo loro, intanto reinventano l’Italia e la vita. A Ida, veterinaria di Aridosa, Pedro aveva confidato la sensazione che i problemi di salute di Lobo fossero, in realtà, segnali del suo straordinario talento. E adesso che Ida è morta, Pedro si colpevolizza e si dispera: non avendo saputo leggere i segnali mandati da Lobo, non è riuscito a salvarla. Ma col tempo – anche grazie al fratello di Ida che di questa storia è la voce narrante – Pedro capisce che Lobo non è attratto dall’odore della morte, ma da quello del bene che compiono certe persone: dal buono che si lasciano dietro, magari senza accorgersene. E allora da Aridosa, inseguendo la scia di quest’odore di buono, Pedro e Lobo iniziano un viaggio che è un’indagine nel sentimento del mondo: perché l’amore, in fondo, è un odore. Dopo sei anni di silenzio, Alessandro Mari torna alla narrativa con una scrittura simbolica e al tempo stesso concretissima. A passi lievi, con umorismo e tenerezza, con realismo e poesia, si muove in ciò di cui più importa agli esseri umani e alla letteratura: l’amore, la morte, la forza benefica che viene dalla capacità di immaginare qualcosa che magari non si vede, sì, ma si sente eccome. “Ad averci il naso giusto, in un odore puoi leggerci anche il buono che resta di ciascuno, il buono che la gente lascia nell’aria, nelle cose, negli)
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