"Sono uomini comuni, quali si potrebbero incontrare in una panetteria algerina o in un mercato di periferia a Parigi. Comuni gli oggetti che restano loro dal passato guerresco: una foto, forse un ricordo dell'uniforme da paracadutista indossata un tempo (berretto rosso, pugnale d'assalto, la carta della Francia in seta). E comuni sono le parole con cui sobriamente ricordano - e tramite cui sobriamente sono ricordati - nei frammenti di memorie che compongono il Romanzo di guerra. 'Romanzo' e al tempo stesso 'Poesie' intitola il libro Jesper Svenbro: né vi è contraddizione di generi letterari. Poiché l'evocazione di quegli anni avventurosi (le fughe, l'arruolamento, la resistenza nei Paesi occupati dai nazisti, l'amicizia, l'incanto inatteso di un incontro d'amore) costituisce un romanzo realista, dalla scrittura sorvegliata e dimessa che mima un sorvegliato e dimesso 'parlato'. Ma al romanzo la poesia presta la sua regale noncuranza, la sua divina consapevolezza: il racconto di vita si interrompe, riprende a ritroso, la scena evocata si illumina un attimo e poi sprofonda nel buio. E quel 'parlato' dimesso si imperla di metafore, mette in scena la sua stessa genesi, sì che le avventure di guerra, di memoria e di scrittura finiscono per coincidere." (Marina Giaveri)
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