Dalle vicende del barrista Massimo e del suo gruppo di formidabili vecchietti, aficionados del BarLume di Pineta, Marco Malvaldi si muove come un gambero, all’indietro, e allestisce un teatrino di sapore fin de siècle dove – ancora una volta – il canone del giallo è funzionale a mettere in scena caratteri e situazioni divertenti. Qui siamo circondati da nobili in disarmo, gattopardi toscani che vivono nella consapevolezza che il loro astro è al tramonto. Ma a quella consapevolezza non si accompagna nessuna statura tragica, piuttosto un acquiescente rassegnazione. Una trovata brillante è quella di mescolare personaggi di pura fiction e versioni fittizie di persone reali. In particolar modo spicca Pellegrino Artusi, autore del celeberrimo manuale di gastronomia (che riunì in un inventario efficace e di successo le mille tradizioni locali delle cucine regionali), che arriva al Castello di Roccapendente preceduto da una fama inutile, agli occhi della maggior parte degli occupanti. I dialoghi, come già nel filone principe di Malvaldi, sono il piatto forte di questa fantasia colta e divertente. I personaggi si scambiano battute rapide, salaci, che tengono alto il ritmo e illustrano bene i rapporti fra tutti gli attori della commedia.
Le considerazioni sullo svolgersi dei fatti, nel frattempo, sono affidate alla voce interiore dell’Artusi, che tiene un diario al quale affida le sue impressioni e le riflessioni su quel che accade. Il trionfo positivista della logica deduttiva alla Sherlock Holmes è conquista recente, in quegli anni; e non è forse un caso che il nostro Artusi, che condurrà le indagini, arrivi al castello nel primo libro della serie proprio con un libro di Conan Doyle sottobraccio.