E' sotto gli occhi di tutti che le democrazie occidentali cosí come sono andate configurandosi nella seconda metà del '900 non sono propriamente l'incarnazione del migliore dei sistemi di governo possibili. Eppure a criticarle si passa per illiberali, reazionari e dispotici in base all'assunto implicito che qualsiasi forma di democrazia, anche la più derelitta, merita in quanto tale una completa sottomissione e venerazione. E' evidente però che qualcosa non quadra. Ogni 4-5 anni ogni cittadino avente diritto esprime una timida preferenza per una persona di cui a malapena conosce il nome, dopodiché l'amministrazione della cosa pubblica non è più affar suo: tutto passa nelle mani di un ristretto gruppo di politicanti professionisti e dei loro faccendieri che amministrano il potere affidato loro dal cosiddetto "popolo sovrano" (mai espressione istituzionalizzata fu piú ipocritamente irrisoria...) per altri 4-5 anni praticamente a briglia sciolta. Questa in sostanza la desolante prassi che caratterizza le moderne democrazie rappresentative, spiega Massimo Fini in questo folgorante pamphlet, e lo fa portando a sostegno delle sue tesi innumerevoli ed autorevoli riferimenti ad opere di storia, filosofia, economia, antropologia e quant'altro. Giornalista e pensatore avvezzo ad assumere posizioni controcorrente, Fini illustra come i sistemi democratici moderni siano in realtà un "grande inganno" utilizzato dai gruppi che detengono il potere economico per controllare i popoli dietro una vestigiale apparenza di libertà ed autodeterminazione. In questo sistema un ruolo chiave è svolto dai partiti, emanazione diretta di questi gruppi di potere, il cui principale obiettivo è quello di convincere il maggior numero possibile di elettori a privarsi del proprio diritto ad autogovernarsi per rimetterlo nelle loro mani. In quest'ottica le elezioni non sono un esercizio del diritto alla sovranità ma al contrario una volontaria rinuncia a quel diritto. Dal punto di vista strettamente politico vi sono due ricadute importanti di questa perversa gestione del potere. La prima e piú evidente è il costituirsi di una vera e propria "aristocrazia della politica", composta da una cerchia di persone che fondano la propria sussistenza su un'ininterrotta gestione del potere, molto spesso senza avere nessuna competenza specifica per farlo. Si pensi ad esempio al balletto dei ministri che al cambio della legislatura traslocano da un Ministero all'altro come se passassero dal soggiorno alla cucina di casa: dalla Pubblica Istruzione alla Sanità, dalla Giustizia ai Trasporti, ecc. nel più rigoroso rispetto non dell'interesse della società ma dei nuovi equilibri di potere appena determinati. La seconda, e forse piú nefasta, conseguenza è che la democrazia rappresentativa partitica di fatto annichilisce il valore dell'iniziativa (questa sí genuinamente democratica) che scaturisce dalla libera intraprendenza del singolo individuo. La "voce fuori dal coro" fosse anche di un soggetto di valore ha scarsissime possibilità di farsi sentire perché viene sistematicamente soverchiata dal barrito pachidermico dei partiti, che tuonano con la voce di centinaia di migliaia di teste non pensanti allineate alla medesima, piatta opinione. Paradossalmente, nelle democrazie liberali attualmente in essere chi non fa capo ad una gerarchia di potere è politicamente morto, anzi peggio, è come se non fosse mai esistito. L'unico voto che ha effetto è quello dato ad uno dei grossi partiti. Chi dissente, chi si distingue, chi pascola lontano dal gregge viene additato al pubblico ludibrio dagli stessi politici e la sua scelta viene sprezzantemente bollata come "voto di protesta" o "voto inutile". Fini espone le sue riflessioni con uno stile piano e colloquiale ma non per questo meno affascinante e delega ad una fitta rete di note e ad una nutrita bibliografia i riferimenti puntuali di cui si serve per articolare le proprie argomentazioni. Purtroppo ad una corrosiva pars destruens fa da controparte un'evanescente e fragilissima pars construens in cui l'autore si limita ad indicare come modello di governo alternativo quello in voga presso il gruppo etnico dei Nuer, una popolazione stanziata a cavallo tra il Sudan e l'Etiopia ed organizzata in tribù senza capi, secondo una sorta di primitiva forma di anarchia. Esempio suggestivo ma obiettivamente molto poco realistico. Comunque anche se la cura ancora manca non è merito da poco aver riconosciuto ed indicato con dovizia di dettagli i sintomi della malattia. Sudditi è un libro senza dubbio provocatorio ma da non sottovalutare, da leggere e da meditare attentamente se non altro perché già in tempi non sospetti (la prima edizione è del 2004) puntava il dito sulle oscene nudità del sistema partitico. Ora che progressivamente queste idee stanno prendendo piede, il sistema cerca di screditarle etichettandole come posizioni "antipolitiche". Ma a ben vedere la Costituzione italiana non prevede un'organizzazione partitica istituzionalizzata come quella attuale, indicando solo di passaggio nell'articolo 49 la possibilità e non l'obbligo per i cittadini di organizzarsi in partiti per concorrere a determinare la politica nazionale. Perciò se i partiti non servono alla democrazia, perché si sono impossessati in modo cosí capillare e onnipervasivo di tutte le Istituzioni (e non solo di quelle)? E dunque, a ben vedere, chi sono i veri esponenti dell'"antipolitica"?
Sudditi. Manifesto contro la democrazia
Per la nostra cultura la democrazia è "il migliore dei sistemi possibili", un valore così universale che l’Occidente si ritiene in dovere di esportare, anche con la forza, presso popolazioni che hanno storia, vissuti e istituzioni completamente diversi. Fini demolisce questa radicata convinzione. Il suo attacco però non segue le linee né della critica di sinistra, che addebita alla democrazia liberale di non aver realizzato l’uguaglianza sociale, né di destra che la bolla come governo dei mediocri, ma aggredisce il sistema dal suo interno. La "democrazia reale", quella che concretamente viviamo, non corrisponde a nessuno dei presupposti su cui afferma di basarsi. È un regime di minoranze organizzate, di oligarchie politiche economiche e criminali che schiaccia e asservisce l’individuo, già frustrato e reso anonimo dal micidiale meccanismo produttivo di cui la democrazia è l’involucro legittimante. Corrosivo e inquietante, Sudditi invita a rivedere certe nostre confortanti certezze, a considerare la situazione paradossale e umiliante del cittadino democratico e, più in profondità, a riflettere sulla condizione dell’uomo contemporaneo.
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DENIS BISCARO 11 novembre 2010
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