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2009 - Nastri d'Argento Miglior Attrice Protagonista Mezzogiorno Giovanna
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Nei primi anni del ‘900 Benito Mussolini era un giovane sindacalista che si batteva contro la monarchia; iscritto al Partito Socialista era diventato direttore dell’Avanti!. Frequentatrice assidua della sezione del Partito è Ida Dalser, e la sua passione politica si trasforma in adorazione ed amore verso quel giovane il cui carisma infiamma ogni riunione e discussione. La loro relazione comincia a ridosso della Grande Guerra, proprio quando il totale individualismo dell’uomo lo fa allontanare dal pensiero del Partito Socialista e di conseguenza dalla direzione del giornale; Mussolini ha le idee ben chiare sulle azioni da intraprendere e tra queste fondare un quotidiano tutto suo sapendo già come chiamarlo, Popolo d’Italia, ma non avendo denaro per mettere in atto il progetto. Così la sua amante Ida decide di vendere tutto ciò che ha per permettergli di dare vita al suo giornale; nel frattempo Mussolini ha intrapreso una storia d’amore con una donna di nome Rachele da cui ha avuto una bambina, ed è questa la relazione che l’ex sindacalista intende consolidare e rendere pubblica nonostante la passione e l’adorazione assoluta dimostratagli dalla Dalser, e da cui è stato concepito un bimbo che la donna chiamerà con il nome del padre seguito da quello del nonno materno, Benito Albino. La gravidanza di Ida e la conseguente nascita del figlio diventano un problema per Mussolini e per la sua carriera politica; una volta partito per combattere nella Prima Guerra Mondiale l’uomo ha già ben chiaro il suo futuro e ha deciso che la donna e il suo bambino non ne dovranno far parte. Infatti mentre comincia la sua scalata al potere fa terra bruciata attorno alla Dalser e al figlio, grazie alle prime squadracce in camicia nera, fino a toglierle la custodia del piccolo e ad internarla in manicomio per farla impazzire e per renderla inoffensiva, cosa che avverrà anche con il ragazzo oramai cresciuto e rinchiuso ai primi cenni di insofferenza alla condizione della madre. Tra fughe per rivedere Benito Albino e lettere mai consegnate per raccontare la verità all’opinione pubblica, Ida Dalser viene lasciata morire in manicomio il 3 dicembre 1937 per emorragia cerebrale, sorte che toccherà anche al figlio cinque anni dopo. Marco Bellocchio ancora una volta devasta il grande schermo con una sua opera: se la decisione di raccontare questa storia gli è venuta dopo aver visto e rivisto il documentario “Il segreto di Mussolini” di Laurenti e Norelli, l’intenzione di metterla in scena sottoforma di melodramma con tratti operistici è arrivata di conseguenza per l’intensità dei personaggi che lui ha immaginato e per la volontà di non racchiudere la narrazione nel semplice concetto dell’assolutismo mussoliniano. In “Vincere” diventa fondamentale la separazione del giovane Benito sindacalista, socialista e pacifista da quello che una volta consolidate le sue idee interventiste, fasciste, addirittura clericali andrà dritto verso il suo obiettivo dittatoriale e avanguardista: la bravura eccelsa di Filippo Timi sta proprio in questo, nel rendere tanto devastante quanto a dir poco impercettibile il mutamento; poi l’attore scompare dal film perché il Duce deve essere rappresentato, per Bellocchio, solo da immagini di repertorio della marcia su Roma e dei discorsi al balcone; ma il genio del regista sta anche nel riportare in scena Timi nelle fasi conclusive della pellicola nei panni di Benito Albino oramai ventenne, e l’interpretazione rasenta l’eccellenza perché il ragazzo è mostrato nella sua timidezza, insicurezza con un accenno di balbuzie, handicap che tra l’altro l’attore mostra quando non recita, che viene superata solo quando imita alla perfezione il padre dinanzi ai compagni di scuola, e il passaggio è memorabile dato che l’interprete porta sullo schermo in due ore con estrema efficacia Mussolini, suo figlio e la parodia che questi fa del padre. Il film è soprattutto la storia drammatica di Ida Dalser, e la sofferenza di questa donna trova una fisicità ed un’espressività emozionanti in Giovanna Mezzogiorno: l’attrice fa del suo difetto il suo maggior pregio, dato che la recitazione passionale e sopra le righe che caratterizza le interpretazioni di tutta la sua carriera può a volte sembrare forzata e monocorde; eppure in “Vincere”, così come in molte altre pellicole, il trasporto emozionale che poi sfocia in follia non poteva avere altro approccio e trasposizione che quella data dalla brava interprete italiana. Bellocchio disegna un contorno surreale ad eventi storici realmente accaduti, e lega la denuncia di un potere distruttore e assassino all’incomprensibile degenerazione della psiche umana: le scelte visive e tecniche acuiscono i simbolismi della narrazione, tra scritte sullo schermo e immagini dell’Istituto Luce accompagnate da canti del ventennio, in un’atmosfera futurista che oltre ad omaggiare le invenzioni artistiche di quella corrente ne denuncia la complicità al regime fascista in una scena rappresentativa. La lunga e controversa filmografia di Bellocchio trova con “Vincere” un picco artistico di grande qualità; non è facile fare film del genere in Italia e raccontare certe storie con immagini e trovate così originali (l’inizio e la fine del film che ripropongono la stessa scena con un epilogo simbolico sono Cinema allo stato puro!); è probabile che il grande pubblico non accorrerà in massa nelle sale per vederlo, Bellocchio non ha mai avuto magnetismo commerciale né mai ha aspirato a conquistarlo; è innegabile che qualche difetto di forma imputatogli da certa critica possa risultare legittimo per le numerose scene di sesso che, personalmente, ritengo comunque emblematiche per la descrizione del rapporto vissuto dai due protagonisti…eppure considero l’ultima opera di Bellocchio una ottima prova cinematografica per la intensità narrativa e per l’elevata stravaganza tecnica.
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