Entrambi i testi sono parecchio interessanti, soprattutto perché forniscono un quadro storico preciso e piuttosto affidabile, delineando la figura di Socrate, non solo storicamente ma anche umanamente (e disumanamente per certi versi). Onestamente ho preferito il Critone all’Apologia, seppur sia più corto del secondo esso offre molto più spunti di riflessione su argomenti come la colpa, la morale (e la sua graniticità, che per Socrate é un punto fermo), il bene e tanto altro che permette di (ri)scoprire un punto di vista per interpretare l’oggi. Consigliatissimo
Apologia di Socrate-Critone. Testo originale a fronte
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Un'opera di inestimabile valore che raccoglie la difesa del grande filosofo nel momento in cui venne accusato dagli ateniesi prima della condanna a morte.
«È stato uno di quei libri che hanno schiantato il mio pregiudizio sulla lettura perché la filosofia non era qualcosa di freddo e di lontano, ma l'esperienza di un uomo che si racconta di fronte alla città, che è stato accusato di qualcosa di terribile ma cerca le parole per manifestare la sua vera essenza.» - Luigi Lo Cascio
Nel 399 a.C. Socrate fu trascinato in tribunale in un'Atene prostrata e inquieta. Il trentennale conflitto contro gli Spartani si era da poco concluso con un'amara e umiliante sconfitta: le mura della città erano state demolite, la sua prestigiosa flotta navale smantellata. La comunità era stata dilaniata dalla guerra civile: alti erano stati i costi in termini di relazioni personali. Con un decreto si impose di consegnare a un completo oblio ogni male e sofferenza. Ma un decreto, per quanto autorevole, non poteva bastare, di per sé, a cancellare torti e dolore. È in questa singolare temperie che Socrate fu tradotto dinanzi a una giuria popolare, accusato di corrompere i giovani e di non credere agli dei della città. Insomma, di pensarla "diversamente", di mettere in discussione i valori su cui Atene si fondava, ma anche di indurre in altri il medesimo atteggiamento critico. In quel momento di grande fragilità, quei discorsi erano forse più di quanto si potesse tollerare. Davanti ai giudici, Socrate si trovò nella posizione di chi deve pronunciare un'"apologia" del proprio operato. Ma il suo discorso non ebbe nulla a che vedere con quanto un imputato era solito dire. Decise di parlare senza tentare di manipolare a suo favore l'uditorio né di edulcorare i fatti. Non chiese pietà. Unicamente in nome dell'alétheia, della "verità", perché solo su di essa si poteva fondare la forma compiuta della "giustizia". Ben sapendo il risultato che avrebbe ottenuto.
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Anno edizione:2019
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jackslaba 20 giugno 2024Necessari nella libreria di un lettore di filosofia
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