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Per quanto possano essere rilevanti, certe storie rimangono solo questo: le storie personali di chi le ha vissute o di chi ha potute sentirle in qualche racconto. Altre, invece, vengono mandate in giro e avviate alla vita – come viene permesso ai figli, per farli crescere – grazie alla realizzazione di un progetto cinematografico oppure, come in questo caso, alla pubblicazione di un libro. A prendere in mano questo, di libro, sembra di incontrare la famiglia di Steinbeck: risulta quasi che i Joad di Furore non abbiano mai terminato il loro viaggio in macchina e, in cerca di ulteriore fortuna mai potuta veramente agguantare tra le terre raggiunte in quei chilometri interminabili e su cui tanto hanno vagato per un tozzo di pane, si siano decisi ad arrivare fino alla Svizzera. Quello dell’autore italiano però non è certo un romanzo: a partire dalla storia dei suoi genitori decide di parlare del referendum popolare tenutosi il 7 giugno 1970 per l’inforestierimento del paese, per la cacciata di quei tanti, troppi italiani che in cerca di fortuna continuavano a giungere e a intralciare la quiete della popolazione svizzera. Lo era effettivamente quello di John Steinbeck, un vero e proprio romanzo? No. Rivestiva semplicemente di belle parole la realtà vissuta da tante famiglie americane negli anni ’30. Allo stesso modo, Concetto Vecchio parla solo per la propria famiglia e per quelle altre che in quegli anni sono approdate in Svizzera per cercare un posto di lavoro e per vivere in qualche modo meglio? No, di nuovo. Ci sono storie che sono passi che si ripeteranno per sempre nei secoli dell’umanità: sono quelle alla ricerca dell’oro, tuttavia per quanto si possa scavare con le mani con enorme furore e assoluta aspettativa, a non essere accolti dai popoli di quelle terre approdate, si finirà per trovare solo fango e pirite. Vecchio lo documenta bene, anche in quei sprazzi di prosperità vitale ottenuta da qualcuno grazie alle proprie capacità, a un po’ di fortuna e a un popolo che infine si oppose all’ostilità. Per poco, ma si oppose.
Un gomitolo di memorie che apre commoventi e necessarie parentesi sul passato, dimostrando che i corsi e ricorsi storici continuano ad essere la migliore chiave di lettura del presente. Nella Svizzera degli anni ’60 “i migranti eravamo noi”, nell’Italia di oggi lo sono altri, ma in molti sembrano non ricordarlo o, peggio ancora, disconoscono il ruolo della storia come “maestra di vita”; a distanza di oltre mezzo secolo, realizziamo che la memoria è “recisa e annebbiata” se una parte della politica e dell’opinione pubblica continua a considerare l’immigrazione un problema. Concetto Vecchio ha scritto un saggio profondo e appassionato, che si rivela un prezioso documento storiografico per capire chi siamo stati.
Il libro racconta un pezzo di storia dimenticata, ma che ci appartiene in quanto collegata alle radici della nostra cultura e che riviviamo ai giorni nostri, seppur in un’altra, quasi speculare, sfaccettatura. È incredibile pensare come, in un modo o nell’altro, la storia e le storie di ognuno di noi si ripropongano nel corso ciclico della vita. Il romanzo, insieme alle testimonianze riportate, riflette un passato di notevole e impressionante attualità. Si parla di migranti, soprattutto italiani, e delle loro vite, tra cui anche quella dei genitori dello stesso autore, costretti alla fuga dal paese d’origine - l’Italia - per mancanza di lavoro e in cerca di un futuro migliore, per poi ritrovarsi sfruttati e considerati unicamente come forza lavoro, senza tutele né diritti. Siamo nella Svizzera del secondo dopoguerra, quando James Schwarzenbach, politico e deputato di un partito di estrema destra, dà inizio ad una campagna contro gli emigrati italiani che durerà anni e sfocerà nel 1970 in un referendum per espellere dalla Svizzera 300.000 stranieri, perduto per pochi voti. Queste memorie del dopoguerra ci invitano a riflettere, ponendoci di fronte a questioni che ci riguardano, ricordando prima di tutto chi eravamo e cosa abbiamo vissuto noi, come popolo, prima di diventare il paese che siamo oggi. Il ricordare la nostra storia può farci affrontare con un’ottica più cosciente e razionale, quello che succede oggi in Italia, paese divenuto terra che accoglie migliaia di migranti. Tutto ciò fa riflettere sul perché certe situazioni di disumanità vengano ancora permesse dai governi e cosa si celi davvero dietro a movimenti politici che con la loro intolleranza e facendo leva sulla paura nei confronti del diverso, sono capaci di propagandare idee che manipolano e contagiano gli strati in genere più deboli della popolazione. Alla luce di queste considerazioni, l’Autore evoca la necessità di evitare che la storia continui a ripetersi, seppure a parti invertite.
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