Credo di non aver mai letto nulla di simile. Una storia un po’ autobiografica e un po’ universale. Un flusso di coscienza gestito con maestria. L’inizio della lettura è già di per sé straniante e indurrebbe a abbandonare subito il libro. E invece si è trascinati dentro alla trama. Che parla di una scelta “in direzione opposta” di un giovane che abbandona il ginnasio per “l’anticamera dell’inferno anzi l’inferno vero proprio.” Che altro non è se non uno dei quartieri più malfamati e degradati di Salisburgo. Dove l’autore impara però a conoscere le persone e la vita. E trova paradossalmente la sua salvezza oltre all’opportunità di seguire il suo desiderio di fare musica. La trama non è però nemmeno tale. Quanto una scusa per proporre una serie di riflessioni e pensieri filosofici. Verità, giustizia, iniquità. Divario tra miseria e ricchezza. La prosa e i concetti sono ripetuti in modo disturbante, ossessivo, fastidioso. Tutto viene riformulato, spezzettato, ricomposto. Si è talmente irritati da rimanere agganciati sino alla conclusione del testo. Le frasi sono costruite in modo incredibilmente complesso e nonostante ciò la lettura è scorrevole. Sono basito e ammirato.
La cantina. Una via di scampo
Per abbandonare veramente il ginnasio di Salisburgo già descritto ne "L’origine", con la sua nefasta mistura di nazismo e pietà cattolica, il giovane Bernhard doveva scegliere qualcosa che fosse anzitutto, e in tutti i sensi, «nella direzione opposta», il punto più lontano possibile nella direzione opposta. Perciò abbandonare il centro di Salisburgo, dove le persone stesse sono «arte decorativa», e finire nel quartiere più malfamato e più sordido della città, i cui abitanti vengono spesso chiamati «feccia dell’umanità». E in quel quartiere fermarsi nel negozio dell’amabile signor Podlaha: una cantina adibita a spaccio di alimentari, sempre piena di clienti, di movimento, di cose da fare. Quel luogo, al centro dell’«anticamera dell’inferno», ha però qualcosa di oscuramente attraente: i clienti vi entrano anche senza ragione, trafficano con i bollini delle tessere annonarie, parlano della guerra e delle storie per lo più atroci che li riguardano, bevendo rum dalla bottiglia che hanno con sé. L’apprendista Bernhard li ascolta con attenzione vorace, attraverso di loro entra in molte vite, in molte case, spesso portando pesanti borse della spesa e chiacchierando nella lingua cruda e netta del luogo. Impara «a vivere in compagnia di molte persone fra loro diversissime», il suo dono di intenso osservatore si acuisce. Per lui tutto questo equivale, anche se ancora forse non lo sa, a una prima sortita in quello che sarà il suo territorio di scrittore: da quel quartiere che è la «macchia di sporcizia» nella nobile città di Salisburgo, e dall’umida cantina che è il suo centro segreto, si propaga una moltitudine di voci disparate, disadorne, stridenti, che Bernhard amorosamente raccoglierà nella sua prosa angolosa, martellante, obbedendo alla sua vocazione di «disturbatore della pubblica quiete». Così egli ha potuto scrivere che il periodo di apprendistato nel negozio di alimentari è stato il «più importante» della sua vita. «La cantina è stata la mia salvezza, l’anticamera dell’inferno (o inferno) il mio solo rifugio». "La cantina" è apparso per la prima volta nel 1976.
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Baghy 30 dicembre 2024Basito e ammirato
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