Carlo VIII e la campagna d'Italia
Nei due libri «italiani» dei Mémoires il racconto dei fatti politici e militari si incrocia continuamente con le impressioni del viaggiatore. Commynes scende nella penisola per la seconda volta nella sua vita, ma il nuovo soggiorno, assai piú lungo, gli dà il tempo di familiarizzare con luoghi e usanze come in precedenza non era successo. A fronte della rapida descrizione della situazione politico-diplomatica del 1478 che si legge nel capitolo VI.4 dei Mémoires, adesso Commynes si apre a una serie di notazioni sugli aspetti piú diversi della penisola, di cui percorre una parte importante delle province centrosettentrionali: Asti, Pavia, Piacenza, Brescia, Verona, Vicenza, Padova, Venezia, Ferrara, Bologna, Firenze, Siena, Pisa, Lucca, Torino, Milano, per menzionare solo alcuni degli insediamenti urbani allora piú popolosi. Quasi per ogni sosta si depositano nella pagina osservazioni fulminanti di poche righe: vere e proprie folgorazioni di un uomo che arriva da un mondo per certi versi assai distante da quello italiano e che per questo si impegna a lasciare sulla pagina traccia dei mille dettagli che ogni giorno lo sorprendono. dall'introduzione di Gabriele Pedullà Philippe de Commynes è stato il primo consigliere di Luigi XI per la gran parte del suo regno. Caduto in disgrazia alla sua morte, fu ripescato per la sua esperienza e i suoi contatti italiani quando Carlo VIII cominciò a pensare a un intervento militare in Italia. E cosí i due ultimi libri dei suoi famosi Mémoires sono dedicati proprio alla preparazione e alla conduzione della campagna d'Italia. Attraverso la penna di Commynes possiamo vedere tratteggiate le figure di Ludovico il Moro, di Piero de' Medici, di Savonarola e di tutti gli altri personaggi in gioco in quel momento cruciale della storia italiana. Con un punto di vista ben diverso da quelli, Guicciardini in primis, a cui siamo abituati. Acutezza dello sguardo, stile veloce e diretto, riflessioni politiche profonde (spesso erroneamente accostate a quelle di Machiavelli): sono le caratteristiche dei Mémoires che ne hanno fatto uno dei capolavori del genere autobiografico e un classico della storiografia apprezzato da Montaigne, Michelet e Sainte-Beuve. L'Einaudi li aveva pubblicati integralmente nel 1960, per l'intuizione di un grande storico come Federico Chabod. Ora ne riproponiamo i due libri dedicati all'Italia con la medesima traduzione di Maria Clotilde Daviso di Charvensod e con un ampio e aggiornato saggio di Gabriele Pedullà. «Poi nacque gran discordia fra il signor Ludovico e il signor Roberto di San Severino; poiché, come sempre succede, due grandi non possono sopportarsi. Il campo rimase al signor Ludovico, e l'altro se ne andò al servizio dei Veneziani; ma due suoi figli, messer Galeazzo e il conte di Caiazzo, tornarono al servizio del detto signor Ludovico e dello stato di Milano, alcuni dicono con il consenso del padre e altri no. Comunque sia, il signor Ludovico li prese in grande predilezione e se ne serví, e se ne serve ancora adesso. Bisogna anche dire che il padre loro, il signor Roberto, era degli Sforza, nato da una figlia bastarda; ma in Italia non si fa grande differenza fra un figlio bastardo e uno legittimo. Dico questo perché essi aiutarono assai a condurre la nostra impresa d'Italia». «A Venezia ricevettero Piero de' Medici con gran timore, tanto temevano di scontentare il re; intanto stette due giorni fuori della città. Io avrei voluto venirgli in aiuto tanto piú che non avevo avuto nessuna istruzione dal re contro di lui; dissi quindi che credevo che fosse fuggito da Firenze per paura del popolo, e non per volere del re. Cosí entrò a Venezia, e, dopo che ebbe parlato con la Signoria, andai a visitarlo. Quando lo vidi mi parve che non fosse uomo da tornare a galla. Mi raccontò a lungo i casi suoi e gli feci animo quanto potei».
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