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Per una volta Allen non fa necessariamente ridere ma riflettere sul senso del dietro le quinte del mondo dello spettacolo, popolato da un sottobosco di attori e saltimbanchi uniti attorno al tavolo a narrare dei rispettivi successi e di un assente celebre, l’agente teatrale Danny Rose, ex attore e battutista esattamente come molti dei presenti e passato successivamente a dirigere le vite professionali di molti di loro con un particolare ricordo del legame, fra vittima e carnefice, che lo legò all’ingrato cantante Lou Canova, velocemente reso celebre e per il quale Danny sacrificò letteralmente tutto sé stesso. Fra talenti sprecati e talenti assenti e un legame fraterno che per tutta una vita può unirti ai tuoi sodali, in una sorta di limbo che ti può imprigionare nel sottobosco di un mondo a luci e ombre, composto da coloro che ce l’hanno quasi fatta ma senza veramente farcela, il film viene attraversato per tutta la sua breve durata da una sana vena malinconica per il dietro le quinte di un mondo ormai scomparso. Commetterebbe quindi un grave errore chi vi s’avvicinasse pensando di ridere a ogni piè sospinto, e non che Allen si faccia attendere, ma sempre con il fine mai nascosto di farti pensare. Un’opera delicata e dedicata come sempre a New York e alla giovinezza del regista. Non va dimenticato che proprio Allen proviene da quel mondo di mezzo che ancora vive accompagnato dal suo fido clarinetto. Eccellente la scelta di riprendere in un bianco e nero necessario per fare risaltare i tempi passati. Di certo una pellicola meno celebre e celebrata di altre ma altrettanto godibile ed efficace; con una Mia Farrow, all’epoca compagna del regista, per una volta nella inconsueta veste di femme fatale e un manipolo di ottimi caratteristi a fare da spalla a Danny Woody Rose.
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