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Dietro la sembianza di un film giallo Paolo Virzì maschera una commedia e anche una severa critica al mondo del cinema, in particolare Romano, con produttori arraffoni, registi che vogliono sfruttare le idee altrui, e tre sceneggiatori in erba che arrivati a Roma con la convinzione di poter svoltare le proprie esistenze si troveranno invece coinvolti, loro malgrado, nell’omicidio di un produttore caduto in disgrazia, impersonato da Giancarlo Giannini, e a cui il ruolo, molto stereotipato, calza a pennello, con numerosi giri loschi da coprire oltre a un’amante, Marina Rocca, perfetta da cercare di piazzare in qualche produzione tv o cinematografica. Il film, pur arrivando a un finale che completa in maniera decisamente migliore un arco narrativo che si perde in una lunghezza eccessiva, oltre le due ore, ha momenti di evidente stanca non impreziositi dai tre protagonisti che, come tutti i membri del jet set, risultano sempre troppo sopra le righe, a partire da Eugenia (Irene Vetere) ragazza borghese, ipocondriaca, figlia di un noto politico del quale odia praticamente tutto, inclusa la propria estrazione sociale. Luciano (Giovani Toscano), Piombinese con una carattere fin troppo espansivo, per finire con Antonio (Mauro Lamantia), messinese, laureato in lettere e dai toni formali. Tutti s’illudono di poter piazzare un soggetto che li possa lanciare nel mondo della settima arte, ma si troveranno in pochi giorni a passare dal discutere di Truffaut e Buñuel a fornire un alibi a un capitano dei carabinieri molto comprensivo (Paolo Sassanelli). Virzì desidera celebrare con questa pellicola i propri inizi difficoltosi affidando al Piombinese Luciano il proprio alter ego, ma come detto non riuscendo a catturare l’attenzione del pubblico nonostante una pellicola nata sotto i migliori auspici ma naufragata in una trama troppo dispersiva e non appassionante.
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