Viviamo in una società che reprime il libero arbitrio: quello stato mentale in cui l’individuo elabora un pensiero autentico, radicato nell’esperienza e non nell’omologazione. Agiscono su di noi forze sottili — sistemi educativi e culturali — che ci vogliono produttivi, efficienti, funzionali. Anche la mente diventa così un contenitore colonizzato, dove si depositano strutture invisibili di controllo. Prima delle neuroscienze, le tradizioni sciamaniche, animiste e spiritualiste avevano già intuito che la coscienza non è un’entità isolata, ma un campo di forze in dialogo con l’alterità. Per questo l’essere umano ha sempre ricercato stati modificati di coscienza. Nel suo saggio, Michael Pollan esplora questi territori con lucidità e intimità, attraversando il confine tra scienza e spiritualità. Indaga il funzionamento della coscienza e le aree cerebrali che si attivano durante l’esperienza psichedelica, ancora oggi ostaggio di pregiudizi e superficialità. Riaprire la ricerca su queste sostanze — definite da molti “miracolose” — è oggi un atto rivoluzionario. Pollan ci mostra come, se guidato, il loro uso possa favorire processi di individuazione profonda e riaprire spazi di contatto con l’inconscio, il corpo, il senso di appartenenza cosmica. Forse è proprio da qui che la medicina dovrebbe ripartire: dal riconoscere di non avere tutte le risposte. Il libro illumina un territorio ancora depauperato da linguaggi moralisti e conservatori. L’apertura mentale è l’atto preliminare al cambiamento: senza la disponibilità ad accogliere ciò che ci abita, sarà difficile trovare un buon set and setting per trasformarci. Libri come questo servono come consulto collettivo. Per una società più consapevole, più libera, più umana.
