Alla riscoperta della storia, nostra ed europea, andando alla ricerca dei cimiteri dove furono sepolti i sfortunati ragazzi costretti a combattere la grande guerra. Una lettura diversa rispetto a quanto si e' studiato a scuola. Veramente bello e profondo!
Come cavalli che dormono in piedi
Nell'agosto del 1914, più di centomila trentini e giuliani vanno a combattere per l'Impero austroungarico, di cui sono ancora sudditi. Muovono verso il fronte russo quando ancora ci si illude che "prima che le foglie cadano" il conflitto sarà finito. Invece non finisce. E quando come un'epidemia si propaga in tutta Europa, il fronte orientale scivola nell'oblio, schiacciato dall'epopea di Verdun e del Piave. Ma soprattutto sembra essere cassato, censurato dal presente e dal centenario della guerra mondiale, come se a quel fronte e a quei soldati fosse negato lo spessore monumentale della memoria. Paolo Rumiz comincia da lì, da quella rimozione e da un nonno in montura austroungarica. E da lì continua in forma di viaggio verso la Galizia, la terra di Bruno Schulz e Joseph Roth, mitica frontiera dell'Impero austroungarico, oggi compresa fra Polonia e Ucraina. Alla celebrazione Rumiz contrappone l'evocazione di quelle figure ancestrali, in un'omerica discesa nell'Ade, con un rito che consuma libagioni e accende di piccole luci prati e foreste, e attende risposta e respira pietà - la compassione che lega finalmente in una sola voce il silenzio di Redipuglia ai bisbigli dei cimiteri galiziani coperti di mirtilli. L'Europa è lì, sembra suggerire l'autore, in quella riconciliazione con i morti che sono i veri vivi, gli unici depositari di senso di un'unione che già allora poteva nascere e oggi forse non è ancora cominciata.
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Autore:
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Anno edizione:2016
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Formato:Tascabile
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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ugopet 15 giugno 2024Bellissimo
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Un libro strano, carico di storie di uomini, con i loro sentimenti e i loro problemi sociali, condotto con una scrittura che prende e coinvolge, uno stile che trascende la prosa e raggiunge il livello della poesia. A ogni pausa nella lettura mi chiedevo come Rumiz avrebbe potuto proseguire mantenendo la stessa intensità. Eppure, riprendendo la lettura, le nuove pagine rinnovavano l’interesse conservando il linguaggio lirico. Fra le righe dell’intero volume ho incontrato un unico calo d’intensità in uno dei capitoli finali.
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Luca Comandini 11 febbraio 2015
Ottimo saggio, scorrevole, ben fatto, a tratti commovente pensando ai ragazzi di cento anni fa nel vortice della Grande Guerra.
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