Con quella luna negli occhi
Le case hanno spesso due radici, quelle piú scure, salde, terragne delle cantine e quelle aeree, chiare, ricche di ragnatele e di passato dei solai. Entrambe sono patrimonio imprescindibile degli uomini e li ancorano alla vita. Colmi di queste due anime (una piú terrena e l'altra piú celeste) sono anche gli scritti dell'autrice e le sue riflessioni. Natura e anima scorrono infatti perfettamente insieme nelle parole di Adriana Zarri e possiedono ciascuna un proprio luogo e una propria voce. Anche semplicemente per questo motivo i suoi scritti non smettono mai di parlare a tutti, credenti e non credenti, giovani e meno giovani, a chi ama l'impegno e la lotta e a chi preferisce invece la contemplazione e il silenzio. In questi inediti ricordi di vita, recuperati da articoli, carte personali e pagine autobiografiche, ritroviamo i toni e i protagonisti di Un eremo non è un guscio di lumaca. I luoghi del mondo e dell'anima: il solaio, il giardino, l'orto, il vecchio mulino dell'infanzia, la cappella. Gli animali: gli immancabili gatti, i cavalli, ma anche i topi, la tigre e il lupo. I fiori: i tulipani, i bucaneve insieme agli ortaggi e alle verdure. Gli abitanti e le tradizioni di una vita antica, come il portalettere, la sarta, la lotteria di paese, l'albero di Natale. Pagina dopo pagina si disegna la scoperta di una scelta di vita, di contemplazione ed eremitaggio, che mai comunque abdica alla lotta e all'impegno. Adriana Zarri era infatti capace di riflessioni teologiche pregnanti e profonde come di massime veloci e ironiche. Nelle sue pagine si mescolano perfettamente la voglia di ascoltare e di capire e la capacità di restituire con esattezza e poesia la meraviglia di fronte alla bellezza della natura. Con quella luna negli occhi rappresenta un capitolo nuovo e inatteso di quell'invito al dialogo che Zarri, dal suo spazio di solitudine e silenzio, non ha mai smesso di rivolgere al mondo. *** «Ho ereditato dei bucaneve viola, dagli anni dell'infanzia. Li ho ereditati stamattina. Erano umidi ancora di rugiada come se fossero colti adesso e non avessero viaggiato, per lunghi sentieri di anni. Da tanto tempo li portavo dentro, in una piega inesplorata di memoria, e a un tratto sono germogliati; come un grano che dorme tutto un inverno con la terra e a marzo fila uno stelo verde, da una crepa del suolo, verso il saluto della primavera».
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