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Anno edizione: 2015
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«Imbattersi nei diciassette racconti di Di cosa parliamo quando parliamo d'amore vuol dire, soprattutto, realizzare che molte delle cose che pensi non solo esistono (e contano), ma puoi addirittura parlarne, anche se (o proprio perché) non sai esattamente di cosa parli» – Diego De Silva
Si tratta di una serie di racconti che non mi hanno fatta impazzire, principalmente perché non hanno una fine, una chiusura. Ci si aspetta qualcosa che non arriva mai, e si passa al racconto dopo. Ci sto mettendo mesi a leggerlo, nonostante il piccolo volume del libro. Dipende molto da cosa cercate e cosa vi aspettate, come primo approccio con l'autore, forse non è il mio.
Sono riuscita a leggerlo solo durante le attese (mezzi, file alla poste..), Carver appartiene alla categoria dei scrittori minimalisti. Non aspettatevi una fine dietro ogni racconto perché l'autore lascia tutto "aperto", lascia spazio all'immaginazione del lettore. Opinione estremamente personale, non è nelle mie corde questo tipo di scrittura, o ti piace o non ti piace.
"Chi ama i racconti non può non aver letto Carver", mi ha detto un amico. L'ho ascoltato ed aveva ragione. In un primo momento, i racconti che partono e si chiudono in medias res, senza un inizio ed una fine ben chiari, destabilizzano non poco. Progredendo nella lettura, però, si impara a sguazzare nella vastità del finale aperto e a gestire l'inizio ex abrupto, arrendendosi al non voler capire e decidendo di sentire le emozioni dei personaggi fluire in noi. Questa modalità di raccontare storie d'amore - tossiche o benefiche, familiari o amicali - mi è rimasta dentro per il suo realismo: è lo specchio di come, quasi sempre, si entri nelle vite degli altri quando sono in piena corsa, avendo uno sguardo spesso tranciante una realtà più complessa. Per noi parlare, poi, della scelta delle parole: non una fuori posto. Lo consiglio!
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