L'ho acquistato attirata dal titolo e dalla copertina. Ho trovato il titolo un po'fuorviante, ma del resto non va giudicato un libro né dalla copertina né dal titolo. Il romanzo è un po'strano, confina col genere dell'assurdo, una volta inquadrato mi è piaciuto abbastanza!
Il corpo che vuoi
Una ragazza, nota solo come A, vive in un’anonima città americana insieme alla coinquilina, B, e al ragazzo, C. A si nutre quasi esclusivamente di ghiaccioli e arance, trascorre un assurdo quantitativo di tempo davanti alla televisione, spesso ipnotizzata dalla pubblicità – in particolar modo dagli spot di Kandy Kat, la mascotte di una merendina ultrachimica – o dal reality show che C ama tanto, e plasma il proprio corpo su un modello di bellezza che esiste esclusivamente sullo schermo. Col passare del tempo A sviluppa un’ossessione per Michael, figura televisiva diventata celebre per aver prosciugato l’intera fornitura di carne di vitello di una filiale del Wally’s Supermarket. Nel frattempo B tenta disperatamente di fare di sé una copia di A, appropriandosi delle sue cose e delle sue abitudini, mentre A, a sua volta insoddisfatta, cerca un senso alla propria vita al di là della dipendenza dal ragazzo. Si rilassa soltanto spiando la famiglia dall’altra parte della strada che tuttavia un giorno scompare misteriosamente. L’ultima cosa che A vede è padre, madre e figlia camuffati da fantasmi uscire di casa, montare in macchina e andarsene lasciando sulla porta del garage una sinistra scritta. Romanzo d’esordio sagace, divertente e a tratti inquietante, che richiama alla mente «L’incanto del lotto 49», «Rumore bianco» e i racconti di George Saunders, «Il corpo che vuoi» è una sorta di giallo raccontato dal punto di vista della persona scomparsa, una storia dell’orrore tutta americana che intreccia sesso e amicizia, fame e appetito, fede e alimentazione, vita vera e reality show, ma soprattutto uno sguardo originale sul moderno concetto di femminilità.
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Autore:
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Testo in italiano
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Lemon 19 dicembre 2021Titolo un po'fuorviante
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STEFANIA D'AMORE 14 marzo 2017
Sara Reggiani e Leonardo Taiuti, le menti dietro la neonata casa editrice Black Coffee, hanno scommesso su di un primo romanzo complesso e difficile. E forse, proprio per questo, incredibile. A tratti, quasi una dichiarazione d'intenti: nessun titolo "acchiappa lettore", ma una voce femminile brutale e capace di raccontare attraverso l'assurdo la realtà più disillusa e cruda, quella dei nostri anni. Una realtà permeata sul sogno dei media e corrotta dal precariato emotivo e fisico, dove solo la televisione è in grado di colmare la noia, la fame, l'horror vacui delle nostre giornate sempre uguali, anonime, ripetitive. Un'ossessione per i media ai quali siamo già stati educati da Pier Paolo Pasolini, Don DeLillo, David Cronenberg, David Foster Wallace e Chuck Palahniuk, per citare alcuni grandi nomi. Lo stesso Wallace, nell’articolo Fictional futures and the Conspicuously Young, spiegava con disarmante lucidità la verità che muove un romanzo come Il corpo che vuoi: "La generazione americana nata dopo il 1955 è la prima per cui la televisione è qualcosa con cui convivere, e non solo qualcosa da guardare", scriveva Wallace. "Possiamo passare ore a scrivere ma ciò non toglie che facciamo parte ogni santo giorno del Grande Pubblico". Non solo. Perché la Kleeman ci racconta anche di un forte disagio nella convivenza con se stessi e con il proprio corpo, a tratti vissuto come invisibile, a tratti come impedimento, a tratti come ripetitivo e privo di una spiccata e riconoscibile identità. Non a caso, infatti, i nomi nella nostra storia perdono di qualsiasi importanza e vengono svuotati della loro funzione narrativa. Il lettore è privato di qualsiasi bussola e lasciato alla sola percezione dei corpi, della carne. Noi, come A e B, soffriamo il cannibalismo esercitato dalle nostre aspettative, da quelle di un mondo fatto di glitter e di pubblicità, dove nella vacuità di notizie ed immagini che siamo sempre più portati a fagocitare bulimicamente, anche i confini del nostro animo sono sempre meno riconoscibili. E a suggerirci questo lento annegare, è il più grande media di tutti i tempi: la Religione. Una scrittura crudele e sagace, quella di Alexandra Kleeman, che costringe a riflettere - quasi fossimo in una puntata di Black Mirror - sul senso dell'Io e dell'identità, quali resti di una battaglia quotidiana della quale non scegliamo neanche d'essere protagonisti ma, a tratti, solo patetici ed ignavi spettatori.
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