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Alfonso Nitti, timido impiegato della banca Maller, si innamora o crede di innamorarsi di Annetta, figlia nientemeno che del padrone della Banca. Riuscito nell'intento di sedurre la donna, deciderà di abbandonarla, correndo al paese natio - dove la madre sta per morire - scatenando l'odio della donna e del suo responsabile. Con questo romanzo - tutto rivolto all'analisi interiore di un personaggio - Italo Svevo irrompe sulla scena letteraria italiana nel 1982, con quella che resterà la sua opera più claustofobica, riuscita al pari se non meglio delle successive - a dispetto del fatto che non piacque completamente nemmeno all'amico James Joyce. Alfonso Nitti è il perdente per antonomasia, condannato a uno scontro impari con la realtà circostante e con le persone che ne fanno parte. Paralizzato dalle proprie debolezze, egli è destinato a non agire o, piuttosto, ad agire nella maniera sbagliata, ostacolato a ogni passo dalle sue paure e dalle sue indecisioni. Non è dunque un caso che Svevo volesse intitolare il romanzo "Un inetto", per classificare in maniera ancora più esplicita il suo eroe votato al fallimento. Su di lui sembra pesare innanzitutto il giudizio della società per il suo lavoro umile, semplice travet presso la banca Maller, in contrasto con gli studi letterari compiuti, di cui è veramente appassionato. Impossibile non pensare, almeno in questo, a una connotazione strettamente autobiografica, dato che lo stesso Svevo fu impiegato di banca per circa 19 anni. Non tanto il lavoro in sé, quanto l'opinione che gli altri hanno o possono avere di lui, spingerà Alfonso a cercare di emergere dalla mediocrità a cui si sente destinato. Ma mentre i progetti letterari sono destinati a naufragare sul nascere, per mancanza di vero talento o volontà, ancora più nefasto risulterà il tentativo di elevarsi attraverso la relazione con Annetta, donna vanesia e superficiale. Anche nel campo dei sentimenti Alfonso si dimostra incapace di azzeccarne una. Decide infatti di sedurre la donna senza pensare ai rischi a cui va incontro; ancora peggio, appena riesce a sedurla - contraddicendo se stesso - decide di abbandonarla, segnando in questo modo il proprio destino. Il suicidio - ultimo gesto anch'esso vacuo che il protagonista decide di compiere - smentisce quella serenità apparentemente autentica - figlia di una rassegnazione filosofica (Schopenhauer è sempre sullo sfondo) - che Alfonso si illude di aver raggiunto prima della disfatta. Oltre ad essere un romanzo cardine della letteratura italiana, mirabile ritratto del mondo impiegatizio, "Una vita" è - a prescindere dal suo valore - una storia che terrà il lettore incollato alle pagine, attuale oggi come ieri.
La storia è banale e bellissima e per una volta mi sentirei di consigliarla anche al lettore da ombrellone, ma chi nei racconti scritti cerca qualcosa in più, qui troverà la bizzarra e zoppicante grammatica sveviana al servizio di una scrittura di stampo chiaramente naturalistico, meticolosa nel sondare l'animo travagliato di quel magnifico inadeguato, insicuro, cauto fino al condannarsi ad un'esistenza ai margini (che in realtà non saprà accettare) che è il memorabile protagonista Alfonso Nitti.
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