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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2014
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Che la letteratura ungherese fosse fonte inesauribile di intense emozioni, non è una novità. Basta pensare a Sandor Márai che nei suoi romanzi ammalia il lettore, sino a fargli dimenticare qual è la dimensione della realtà, dove inizia e dove finisce la finzione. Le stesse impressioni, forse con un plus di realismo e lucidità, le si hanno leggendo il libro di Magda Szabò, La porta (Einaudi 2005, traduzione Bruno Ventavoli). La più grande scrittrice ungherese del secolo scorso presenta in questo romanzo, di 250 pagine circa, un mondo dal duplice aspetto. Ci mostra un’Ungheria arcaica, silenziosa, fiera e incapace di scendere al compromesso, in contrapposizione con l’altro lato del paese, colto, ma bigotto, incapace di guardare indietro e aperto a un futuro incerto. Gli esponenti, come le due facce della stessa medaglia, sono due personaggi femminili memorabili. Da un lato c’è Emerenc, la donna tuttofare, che ne è protagonista e personaggio chiave; in contrapposizione, la scrittrice Magda, alter ego della stessa Magda Szabò, nonché voce narrante della storia. Ognuna di loro si porta appresso il proprio universo vitale, le proprie abitudini e credenze. La loro simbiosi, dettata dalla necessità e dall'incapacità di Magda di gestire la propria casa e la propria vita, è uno strano convivere. Sono gli opposti che si attraggono, l’ordine del mondo all'incontrario. Perché sarà la donna di servizio a chiedere referenze nel quartiere riguardo la famiglia dove andrà a lavorare. Emerenc e le sue strambe manie, la sua apparente crudeltà e insensibilità, il suo rifiuto delle cose religiose, sono il riflesso del carattere forgiato dal dolore e dal silenzio. Ma questo, sia Magda che il lettore, lo scopriranno solamente alla fine. Perché la donna ha tanti segreti nascosti dietro la porta del suo cuore, tanti quanti dietro quella della sua casa. Il rapporto conflittuale illustrerà due tipologie umane diverse. Emerenc, la donna dell'agire, dell'aiutare il prossimo, senza alcuna fede politica o religiosa, colei che applica il principio dell'imperativo categorico, senza conoscerlo. Lei, che si rivela più cristiana, nel profondo della sua esistenza, di coloro che frequentano la chiesa ogni domenica e che rispettano con estremo rigore le feste religiose. Emerenc, che sotto un'apparente corazza di insensibilità nasconde un animo nobile, in grado di amare ogni essere vivente allo stesso modo, senza distinzione. Colei che chiude la porta della sua casa al mondo che non la capisce, metterà in ombra la figura della colta, ma incapace scrittrice, Magda - incapace di relazionarsi con il prossimo, di esprimere i suoi sentimenti, sia quelli di rabbia, che quelli di gioia. Magda è asettica e claudicante nella vita. Ha bisogno della concretezza di Emerenc, da una parte, e delle citazioni colte, dall'altra, per riempire una vita sterile, agli antipodi di quella della sua domestica. Il loro rapporto è esposto in maniera metaforica in una delle scene finali: una volta aperta la porta segreta, il mobilio antico e di valore custodito da Emerenc si dissolverà come d'incanto, come se non fosse mai esistito. Ciò che avrebbe dovuto avvicinare le due donne, fare annullare le distanze tra loro, li separerà per sempre. Come una maledizione antica, la morte di Emerenc porterà alla dissoluzione delle cose a cui era legata. Metterà in luce i fallimenti della scrittrice, nonostante i numerosi premi vinti durante la lunga carriera. Con un linguaggio colto e per nulla scontato, Magda Szabò sembra suggerire, attraverso le pagine del romanzo, che in fondo la vita stessa altro non è che un miraggio, un passaggio fugace su un grande palcoscenico, nulla più. Che siamo polvere e nella povere torneremo. Struggente e malinconico, lascia un segno indelebile nella letteratura universale, meritandosi appieno tutti gli elogi.
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