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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2013
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Volume cartonato rigido di pagine 325 con 8 tavole a colori fuori testo e illustrazioni in nero nel testo di Alan Lee, una cartina ripiegata in chiusura, sovraccoperta figurata con segni di umidità e leggera gora al piatto anteriore. Edizione a cura di Christopher Tolkien, traduzione di Caterina Ciuferri, postfazione di Gianfranco De Turris e una nota di Quirino Principe. Opera in buone condizioni. Spedizione in 24 ore dalla conferma dell'ordine..
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Ultima (per ora?) parte del magmatico materiale sulla Terra di mezzo lasciato incompiuto da Tolkien e proposto ai lettori dal figlio Christopher. Questa caratteristica di incompiutezza emerge in modo chiaro dalla lettura, ma assieme ad essa si colgono anche alcuni elementi di pienezza e inaspettati: la storia procede in modo chiaro, è evidente che Tolkien ne aveva ben presenti gli elementi fondamentali, pur avendone sviluppate alcune parti più e altre meno. Così ritroviamo alcuni personaggi fondamentali delle storie della prima era già incontrati nel Silmarillion (i cui altri filoni più importanti sono quelli di Beren e Lúthien e della caduta di Gondolin). La storia dei figli di Húrin, fra i quali prevale di gran lunga la figura dell'unico maschio Túrin, è di queste tre la più cupa e priva di speranza finale: la maledizione con cui il Valar caduto Morgoth colpisce il signore del Dor-Lómin e i suoi congiunti è tremenda e ineluttabile, e avrà fine solo con la morte tragica di tutti coloro che ne erano stati fatti oggetto. In questa narrazione però emerge in modo chiarissimo anche il retroterra mitico dell'autore, e la profonda conoscenza che aveva della mitologia non solo anglosassone ma anche classica: sono evidenti i richiami alla tragedia greca e ad Edipo in particolare, con Túrin che, come l'eroe greco, più cerca di sottrarsi al suo destino e più gli corre incontro, perfino nell'infrangere - anche lui inconsapevolmente - il tabù della consanguineità.
Come sempre Tolkien é in grado di appassionare ed emozionare, e ne Figli di Hùrin non vi é attimo in cui il lettore si senta annoiato dalla narrazione, certo un po' scarna, e, se paragonata agli altri grandi titoli di Tolkien di qualità molto inferiore, ma comunque un avvincente storia che mostra gli aspetti del Beleriand e contrappone la malvagità di Morgoth con il coraggio e l'audacia di Tùrin, vittima inconsapevole della maledizione gettata su di lui e i familiari dal malvagio signore di Angbad. Un finale emozionante e struggente, in cui traspare tutta la crudeltà del destino e la malvagità dell'Oscure Signore.
la narrazione si presenta con una prosa discontinua, aulica arcaica scarna, comunque essenziale e netta come le azioni antiche in tempi oscuri e di guerra, che a tratti, come una sferzata dietro l’angolo di un dialogo, si rivela del tutto improbabile quale italiano (forse per pedante letterale adesione al testo da parte del traduttore, ma non ho ancora avuto modo di mettere occhi e mani sul testo originale); pur con l’ampia e descrittiva introduzione di Christopher Tolkien, senza avere come sostrato il Silmarillion si resta a margine del racconto, quale lettore in prestito in un mondo che non gli appartiene; per sostrato non intendo appena avere letto il grande libro tolkieniano della Creazione, ma fatto proprio e amato, diversamente non se ne comprende di questo la struttura letteraria e geografica, la gerarchia la genealogia e il tessuto sociale di Uomini, Elfi e Valar e le relazioni che legano gli uni agli gli altri; non se ne comprende il linguaggio globale poiché molto è dato per acquisito e conosciuto; volenteroso il lavoro di Christopher, volto a cercare di rendere omogenea un’opera incompiuta e frammentaria sia nello stile sia nella sua evoluzione, per donare l’enorme e importante lavoro al quale tanto si dedicò il padre, alla schiera di amanti degli antichi miti, tolkieniani e non; questa epopea, infatti, proprio per la sua narrazione fatta di scatti e scarti, per il linguaggio e per il tratteggio dei personaggi ricorda molto le antiche saghe dei miti nordici; deliziose le tavole del grande Alan Lee che contribuiscono a rendere il testo nel complesso una lettura piacevole per gli amanti dell’epica ma decisamente inadeguata, noiosa ed esasperante, per gli estimatori del Tolkien più classico e narrativo, mentre è decisamente da evitare per gli appassionati del fantasy più commerciale; purtroppo, letta come fanalino di coda, invece di imbrigliare la mente in toto tra le proprie pagine, la fa correre con desiderio e nostalgia ai grandi racconti della più bella tradizione tolkieniana. QF
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