Propr. A. G. de Cuffe, attore inglese. Di umili origini, pratica vari mestieri (tra gli altri, assistente in un'agenzia pubblicitaria) fino a che non scopre la sua autentica vocazione, grazie agli studi di recitazione, esordendo, appena ventenne, sulle scene teatrali. In breve si afferma come uno dei più completi interpreti shakespeariani e gli si aprono le porte dell'esclusivo Old Vic londinese. Sul grande schermo si mette in luce nei due adattamenti di D. Lean dai classici dickensiani Grandi speranze (1946) e Le avventure di Oliver Twist (1948), in cui interpreta due personaggi tra loro diversissimi: nel primo lo spiritoso dandy protagonista, nel secondo il ripugnante trafficante di bambini Fagin, rivelando istrionismo ed eclettismo. La sua maschera, all'apparenza compassata, pronta, secondo le circostanze, a volgersi in rassicurante bonomia oppure in perfido sarcasmo, lo rende memorabile durante gli anni '50 in una serie di commedie, soprattutto prodotte dalla Ealing. Con l'impressionante virtuosismo di Sangue blu (1949) di R. Hamer, che lo vede calarsi in ben otto personaggi diversi, e l'affascinante recitazione sotto traccia di La signora omicidi (1955) di A. Mackendrick, in cui impersona un killer sadico e frustrato, si rivela come interprete ideale di uno humour nero tipicamente inglese, confermato da ruoli che recano un'evidente volontà di satira sociale, come nel caso del tranquillo impiegato di banca che si muta in gangster in L'incredibile avventura di Mr. Holland (1951) di C. Crichton. I riconoscimenti internazionali non tardano ad arrivare: nel 1957, con Il ponte sul fiume Kwai di D. Lean, l'interpretazione dell'inglesissimo capitano Nicholson, detenuto con i suoi soldati in un campo di prigionia birmano durante il secondo conflitto mondiale, gli regala un meritato Oscar come attore protagonista. Continua a sviluppare il personaggio di uomo comune coinvolto in trame più grandi di lui (Il nostro agente all'Avana, 1960, di C. Reed) e intraprende anche una proficua carriera di caratterista in pellicole di grande successo internazionale, nelle quali ha modo di affinare le sue capacità camaleontiche: principe arabo in Lawrence d'Arabia (1962), generale sovietico in Il dottor Zivago (1965), entrambi di D. Lean, Adolf Hitler in Gli ultimi dieci giorni di Hitler (1973) di E. De Concini. Scampato all'oblio del pubblico grazie a Obi Wan Kenobi, saggio cavaliere jedi nell'epopea di Guerre stellari (1977) di G. Lucas, il nominato baronetto per il talento d'attore, dirada le sue apparizioni negli anni '80, con poche eccezioni tra cui quella – ragguardevole – per il fidato D. Lean in Passaggio in India (1984) che lo vede, al solito irriconoscibile, nei panni di un acuto indiano.