Doppiatore e attore italiano. Figlio d’arte (il padre, Giovanni, è un caratterista del cinema anni ’50, presente – tra gli altri – nella saga di Don Camillo), è più noto al pubblico come voce che come volto, nonostante inizi come attore, in una teoria di piccoli ruoli che assecondano, con la sua fisionomia ora bonaria ora grifagna, l’avvicendarsi dei generi del cinema popolare, dal gotico (I tre volti della paura, 1963, di M. Bava) al western (W Django!, 1971, di E. Mulargia), dall’erotico (Fra’ Tazio da Velletri, 1973, di R. Scandariato) al poliziesco (Il grande racket, 1976, di E.G. Castellari). La carriera di doppiatore gli regala sicuramente più soddisfazioni: contribuisce – con il suo timbro fintamente burbero – al successo del personaggio di B. Spencer (almeno quanto P. Locchi è responsabile della caratterizzazione del sodale T. Hill), che affianca dai western di fine anni ’60 (ne La collina degli stivali, 1969, di G. Colizzi, O. è anche attore, doppiato a sua volta) ai film di sganassoni degli anni ’70 e ’80. Ma gli debbono qualcosa, almeno per il pubblico italiano, anche i modi ieratici dei personaggi di C. Bronson e J. Coburn, e persino i rari monologhi d’azione di A. Schwarzenegger versione action. Vanta anche una rispettabile carriera di interprete di sceneggiati e fiction tv, dagli anni ’60 a oggi.