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La scoperta di Dolores Prato è di quelle che lasciano il segno. Autrice di assoluta qualità, schietta, senza retorica, la Prato compone uno Zibaldone in cui i ricordi dell’infanzia costituiscono la trama per tratteggiare, con toni talora nostalgici, i luoghi e le figure che hanno popolato e segnato la sua vita. Piccoli pezzi di vita, ognuno dei quali costituisce la tessera di un unico mosaico, sul quale viene a formarsi una geografia intima e personale di Treia, un piccolo borgo che si distende sulle colline delle Marche. La Prato non si arrende a quella forma di indulgenza che spesso caratterizza le persone in tarda età, al contrario ripercorre con spirito critico – e senza risparmiare giudizi caustici, quando serve – i passaggi salienti di un’infanzia non felice, consapevole del fardello che l’accompagna sin dalla nascita: quello di essere una figlia non voluta e per questo affidata alle cure degli zii (un prete ed una donna dal passato in ombra), attenti sì ma non amorevoli. E questa condizione non può non incidere sul formarsi del carattere di Dolores, incapace di esprimere la propria personalità a causa dei legacci famigliari: “quello che ho sempre avvertito è stata la diversità sentita come inferiorità in tutto e a tutti. Questa era la mia diversità: una pena dello spirito che ha legato il corpo. Cattiva no, insofferente sì”. La Prato racconta dunque la sua Treia, il suo “ombelico del mondo”: è qui che ella vive gli anni della prima giovinezza, è qui che la sua mente ritorna, ora che anziana e quasi cieca non le resta che il ricordo del tempo passato. Giù la piazza è un libro affascinante, un capolavoro rimasto inspiegabilmente ai margini del panorama letterario, e la fortuna di averlo letto equivale ad aver colto un quadrifoglio in un vasto prato verde.
Cento pagine mi possono bastare per capire che non fa per me.Peccato perché questa autrice poco conosciuta,iscritta alla categoria degli "irregolari" nel panorama della letteratura italiana del novecento, si è conquistata,soprattutto dopo morta, il rispetto della critica e di un pubblico (di nicchia) tra cui speravo di annoverarmi. Ma a me questa letteratura del paesello,dell'abituro (cito a caso: le estenuanti descrizioni degli utensili della cucina),del come eravamo,molta forma (per quanto originale nel suo essere fuori dai canoni) e poca sostanza.
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