Quattro brevissimi racconti costruiscono l'ossatura del libro. Ciascuno a suo modo un piccolo capolavoro e soprattutto indicativi dell'immensa capacità iconoclasta di Bernhard. La patria, la famiglia, l'amicizia, nulla trova scampo dal disperato nichilismo della sua scrittura. In un racconto un uomo per sfuggire all'oppressiva e angosciante presenza dei genitori si rifugia in una torre con i libri dell'amato Montaigne, in un altro l'incontro tra amici è l'occasione per esercitare il rito della memoria e tutto ciò che di negativo la frase "ti ricordi..", detta tra loro, trascina con sé e poi nell'ultimo racconto una visione onirica fa sperare che sia l'Austria intera ad andare in fiamme lasciando i fondamenti culturali cattolici e nazionalistici del paese in una desolata distesa di cenere. A dare però titolo al libro è il primo dei racconti, "Goethe muore", e qui l'ironia con la quale Bernhard tratteggia le due figure, così antitetiche tra loro, da una parte il grande poeta e dall'altra il grande filosofo Wittgenstein, è assolutamente deliziosa. Da una parte Goethe quale pilastro della cultura tedesca e delle relative certezze e dall'altra il pensatore che attraverso il pensiero logico e alla rilevanza del linguaggio nell'espressione del pensiero aveva contribuito a spezzare i dogmi della cultura romantica ed ottocentesca. La critica che Bernhard ha sviluppato nei confronti della cultura tedesca sta in una frase che egli mette in bocca al Goethe morente: "Le cose che ho scritto sono state indubbiamente le più grandi, ma sono state anche ciò con cui ho paralizzato per un paio di secoli la letteratura tedesca".
Goethe muore
In questo piccolo gioiello c'è in nuce tutto Bernhard: qui si ride, ci si commuove e si pensa. Il racconto che dà l'irriverente titolo al volume vede il Titano, ormai allo scorcio della vita, in fase di bilanci. Ha capito che la letteratura conta poco o nulla, e non gli resta che un unico desiderio: incontrare Wittgenstein. Convoca dunque a Weimar il filosofo, innescando una serie di esilaranti peripezie. Figura centrale nell'opera di Bernhard, Montaigne svetta nella seconda prosa, dove vediamo un giovane angariato dai genitori rifugiarsi nella torre avita e trovare lì l'unica alternativa all'orrore familiare: i libri, e nella fattispecie i libri di Montaigne. Se la famiglia è il luogo del castigo, della reclusione, dell'odio, della distruzione psicofisica, la torre, la biblioteca, i filosofi sono l'unica salvezza. Ilare e straziante è il terzo racconto, in cui due amici si incrociano in una stazione ferroviaria. E uno dei due si lascia andare a un continuo, trascinante "ti ricordi...?»: ecco allora risorgere l'infanzia e genitori sadici, amanti della montagna, che costringono la prole ad arrampicarsi a ora antelucana, bardata con calzettoni e berretti rossi (per non sfuggire al soccorso alpino...). E se la madre, dispensatrice di ceffoni fisici e morali, pizzica sulla vetta la sua ridicola cetra, il padre affida a un album da disegno oscene vedute alpestri. A suggellare il congedo dai genitori sarà un grande falò di calzettoni rossi. E in un immane autodafé culmina l'ultima prosa, resoconto di un sogno apocalittico, in cui l'Austria cattolico-nazionalsocialista va finalmente in fiamme: di quell'universo resterà solo una distesa di cenere. Salvo poi svegliarsi dal sogno in un felice altrove e accorgersi che quelle fiamme hanno risparmiato ciò che più conta: il ricordo.
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Il terzo di questi racconti, "Incontro", è esemplare, perchè illustra la tecnica usata da Bernhard per accrescere la tensione mediante la ripetizione sempre più ravvicinata dei "motivi-parola". Osserviamo pag 58: il primo motivo-parola è "montagna"; esso viene ripetuto dapprima a distanza di tre righe, quindi di due, generando una crescita della tensione che per adesso è solo apparente, poichè subito torna a distendersi a distanza di 3 e di 4 righe. Nella seconda parte della pagina ecco che invece la tensione si scatena e raggiunge il parossismo, in quanto il motivo-parola viene rafforzato dall'aggettivo "alta" e si ripete a distanza dapprima di 2 righe quindi di una sola: in tutto 9 volte,e, se sommiamo quelle precedenti, 15 volte in una sola pagina. Una volta esaurito il suo compito espressivo, il motivo-parola viene abbandonato e ne subentrano subito altri due, " rosso vivo" e "verde vivo" ( pag 59), e il meccanismo si ripete. Quello che mi preme rilevare è come l'origine di questa tecnica non sia letteraria, ma musicale, in tutto affine a quella adottata da Beethoven nei suoi " crescendo di tensione" ottenuti mediante il progressivo dimezzamento dell'ampiezza dei motivi.
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Irritante, ossessivo in quel suo fraseggiare ripetitivo, compulsivo, insistente, quasi martellante che ribadisce continuamente lo stesso concetto, come chi urla il proprio dissenso. Ed è proprio questo che Bernhard fa in tutti i suoi libri : l’espressione di un malessere condotto all’estremo contro genitori, autorità, società, contro tutti quelli che ti vogliono conculcare, che vogliono distruggere la tua personalità e libertà. E non risparmia nessuno, anche il simbolo più sacro, come in questo caso il sommo Goethe o meglio , quella immagine stereotipata del grande artista costruita dalla cultura popolare tedesca. Leggere questo autore non è mai uno scherzo; tutte le volte il suo stile mi innervosisce, mi indispone, poi mi catturano la sua folle lucidità e quella razionalità spietata che smaschera tutte le finzioni presenti nella società. Affrontare la lettura dei suoi libri ti riserva sempre una sorpresa continua!!
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