Recensioni Hotel Madridda

Hotel Madridda di Grazia Verasani

Il caseggiato a Balanskaja-Madridda è grigio, e grigia è la vita che si conduce al suo interno. Ci vivono persone che sono state giornalisti, professori, studiosi, irregolari, artisti. Hanno parlato tanto, ormai parlano poco. Davanti alle finestre del caseggiato c'è un albergo, che ha dieci piani e un tempo è stato bello: l'Hotel Madridda. Adesso è chiuso. Nessuno va più in albergo, e quasi più nessuno parla. Nemmeno Selma, la protagonista di questo romanzo, che passa il tempo a scrivere alla sorella Ida e a nutrire un gatto. Parlare non si può. E non si deve. Le parole sono vietate quasi tutte e non si capisce cosa sia un irregolare finché non ti hanno arrestato. L'hotel è transennato perché l'ultima forma di protesta dei ragazzi e delle ragazze che hanno più rabbia che paura consiste nel salire sul tetto dell'albergo e buttarsi di sotto. Così, quando Selma sente un trambusto nelle scale del caseggiato, apre la porta, osserva e torna a chiudersi dentro, senza stupirsi troppo del fatto che in casa sua, dietro la tenda, non ci sia più il gatto, ma un ragazzo: uno di quelli che voleva buttarsi per protesta è sfuggito alla polizia che lo inseguiva e si è nascosto lì.

Proposto da Enrico Deaglio al Premio Strega 2025 con la seguente motivazione:
«Sotto un cielo giallo e spesso, dissenzienti di antica data, ormai innocui, sono confinati a vegetare in un universo post trumpiano e post putiniano. Solo i più giovani hanno ancora la forza di praticare l’ultima ribellione, con il suicidio per precipitazione, dall’ultimo piano di un hotel in disarmo. Uno dei ragazzi, scappando dalle forze dell’ordine che non vogliono che nulla turbi lo status quo, si nasconde nell’appartamento di una donna che è stata una intellettuale e ancora non ha perso il gusto di osservare e dissentire. Per dissentire ci vogliono poche parole nitide, esatte, coraggiose, ironiche che sono quelle in cui questo romanzo è scritto. In tempi di volgare realtà che ha ridotto Orwell a una fiaba a lieto fine, cercare un edificio alto sulla cui terrazza lasciare il proprio senso dell’umorismo, è la bella trovata del romanzo di Grazia Verasani. E per questo lo candido al Premio Strega.»

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