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Come già accadeva in “Match Point”, qui Woody Allen imposta una commedia morale per riflettere su temi complessi a lui cari (si pensi a Crimini e misfatti), quali il rapporto fra bene e male e le ambiguità nell’interpretazione della morale e delle sue leggi. Non a caso tale riflessione è affidata alla figura del protagonista, un convincente Joaquin Phoenix che impersona un professore di filosofia in un campus americano, con il quale Allen tratteggia una tipologia umana ed antropologica di estremo interesse poiché incarna un intellettuale tipo presente ad ogni latitudine e dalle caratteristiche in qualche modo universali. La descrizione del protagonista è infatti l’elemento di maggior forza del film in quanto ci fa addentrare nelle pieghe di una forma mentis e di una mentalità abituata a sentirsi al di sopra della morale corrente, della distinzione comune fra bene e male e quindi delle leggi umane. In base a questo atteggiamento di fronte alla realtà, il personaggio in questione si ritiene depositario di una verità assoluta e pensa di possederne in tasca la chiave proprio perché si arroga il diritto di essere nel giusto trascendendo le classificazioni correnti fra giusto e sbagliato. Ciò anche in ragione del fatto che si autodefinisce e si auto-etichetta per partito preso come appartenente al salotto buono dell’elite intellettuale sinistrorsa e progressista, illuminata e sempre impegnata, che ha partecipato a tante mobilitazioni sociali senza però comprendere a fondo mai davvero niente di ciò che la circonda. Guidato da queste convinzioni che dal suo punto di vista sono peraltro tenaci e assolutamente non dialettiche (cosa che rappresenta quindi un’aggravante) e facendosi forte della sua attività di insegnante di filosofia morale agli studenti del campus, si ritaglia appunto una morale su misura in cui le categorizzazioni classiche cadono. Spinto da questa visione del mondo si sente un giorno motivato a ritrovare nuovi stimoli, dopo che i casi della vita e un’esistenza dissipata e alla deriva gli avevano fatto perdere l’interesse per le cose, arrivando a compiere un delitto da lui immaginato perfetto a scopo (presunto) di giustizia, con il quale elimina fisicamente un giudice corrotto che aveva danneggiato con le sue nefaste decisioni l’esistenza di una donna. Ovviamente tale gesto, oltre ad essere aberrante in sé, provoca una serie di drammatiche conseguenze, conducendo lui e chi lo circonda in una spirale pericolosa in cui delitto chiama delitto per eliminare e nascondere testimoni scomodi e le tracce del primo misfatto, che pian piano emergono e che le persone a lui vicine stanno rischiosamente arrivando a comprendere. Sono tra gli altri coinvolti in tale gioco al massacro una ragazza un po’ sprovveduta che ha del tenero per lui in quanto sedotta da una certa sua aria vissuta e tenebrosa (una Emma Stone coprotagonista) e una collega docente del campus che intrattiene con il suddetto una relazione amorosa. Perciò l’atto delittuoso originario, inteso dal suo autore come giusto in quanto atto puro svincolato dalla morale corrente, non solo non risolve le cose ma rivela ben presto il suo potenziale distruttivo, abominevole ed aberrante. L’elemento di interesse maggiore del film consiste proprio nel fatto che vi si tratteggia, nella figura del protagonista, un tipo di intellettuale classico chiuso nella torre d’avorio e nell’autoreferenzialità di sé stesso e degli ambienti che frequenta, grazie ai quali si estrania dal mondo reale e dai suoi problemi veri proprio nella misura in cui invece è pervicacemente convinto di capire a fondo le cose, di avere appunto in tasca la chiave dell’unica verità possibile e immaginata come autentica, cioè la sua. La sua figura è appunto carica di interesse per il valore universale, incarnazione di tanti 'irrational men' chiusi nei propri circoletti e pensatoi in realtà sempre lontani dal mondo reale e da quanto accade veramente; in genere vicini all’establishment che comanda davvero e convinti invece di essere e sentirsi progressisti e propensi ad autoetichettarsi tali per diritto acquisito. Si possono citare tanti esempi di ciò, dai democratici americani che non avevano compreso niente del quadro politico e sociale predominante nel paese che ha condotto all’esito del voto presidenziale (e che la pellicola sembra quasi indirettamente satireggiare), fino agli esempi di casa nostra, diffusi nei mezzi di informazione, nella comunicazione culturale, nella riflessione intellettuale e nella stringente attualità politica. A cominciare dai commenti e dalle analisi dei media, numerosi sono i predicatori che riscontriamo con frequenza, radical-chic presi di mira dallo scomparso scrittore americano Tom Wolfe: gente che farnetica quotidianamente con mistificazioni cui si dà in genere una tinteggiatura e coloritura sinistrorsa di comodo, di facile uso e consumo, ma pronti invece ad arrampicarsi sugli specchi con improbabili interpretazioni e a profferire analisi e previsioni in genere non supportate da alcun pensiero davvero fondato e quindi regolarmente smentite dai fatti; ciò anche perché confondono la valutazione della realtà con i propri ‘desiderata’ e gli auspici, usano gli arroccamenti e le categorizzazioni identitarie ed ideologiche come metro di giudizio che fa perdere di vista la comprensione vera di ciò che accade nel reale mondo circostante, tanto più quando la situazione è fluida e in costante evoluzione. Nel tratteggiare una simile figura umana ed intellettuale, il film la accompagna alla gustosa descrizione del mondo solo apparentemente aperto del campus, in realtà chiuso e isolato nella sua campana di vetro, a cominciare dalla docente frustrata e in cerca di diversivi che instaura con lui una relazione o il candido e sprovveduto personaggio interpretato da Emma Stone. Allen firma senz’altro una delle sue pellicole più controverse, ma appunto anche per questo di un certo interesse, nell’affrontare temi scomodi come il bene e il male, la legge morale e le sue distinzioni, in linea con un pensiero pieno di riferimenti letterari e filosofici: dall’idealismo a Kant a Dostoevskij fino al superomismo di Nietzsche, come nelle teorizzazioni dell’atto puro e quindi in quanto tale eticamente giusto di per sé poiché appunto svincolato dalla morale corrente e ad essa superiore. Serrato il ritmo narrativo della vicenda, che progressivamente scivola dalla commedia a sfondo morale fino allo scenario thrilling che conferisce un tono avvincente al racconto, complice anche il caso e la fortuna (ingredienti fondamentali di molti film di Allen) che appunto in modo fortuito ma positivo risolvono nel finale una situazione che sembrava senza via d’uscita e che invece trova una felice conclusione con la tragica fine e la dannazione definitiva dell’amorale protagonista. Fa da contraltare alla vicenda, esaltandone il ritmo in crescendo verso il dramma e il suo tingersi di giallo e thrilling, quasi mescolando più generi e linguaggi cinematografici, la colonna sonora qui vintage di tipo rhythm and blues anni ’70 che scandisce il racconto e vi calza a pennello nel sottolineare la crescente atmosfera drammatica.
Woody Allen è sempre una garanzia! A volte mi chiedo come facciano a venirgli certe idee. Questa, poi, è spettacolare: un professore di filosofia ormai entrato nel tunnel della rassegnazione rasente la depressione, ritrova la gioia di vivere quando, origliando la conversazione di una famiglia alle prese con il divorzio della figlia e conseguente affido dei nipoti nelle mani di un giudice ingiusto e misogino, decide di architettare un piano perfetto per uccidere tale giudice, per essere d’aiuto a quella famiglia. Veramente assurdo, ma allo stesso tempo geniale! A me non sarebbe mai venuta in mente una cosa del genere. Simpatico, bello da vedere, con un cast fenomenale ed una colonna sonora che rende quasi una bravata l’impresa del professore, come se avesse deciso di rubare le risposte del test di matematica. Da vedere.
Non è fra i film di Woody Allen più conosciuti in Italila, eppure all'estero ha avuto molta risonanza (non a caso a me è capitato di vederlo in un cinema in Francia). Strano, secondo me, soprattutto perché è forse una delle sue pellicole più recenti ad avere rispolverato l'atmosfera di "Match Point" o di "Vicky, Cristina, Barcelona", ovvero di un Woody Allen a cui raramente ormai assistiamo al cinema - non che l'alternativa sia negativa, anzi. Però a volte di certe dimensioni si sente comunque la mancanza. Questo è il film dei paradossi. Un professore di filosofia annoiato dalla vita, quando in realtà proprio insegnare agli universitari questa disciplina dovrebbe fare sentire continuamente vivi e stimolati. Un incontro con una donna matura e probabilmente alla sua altezza, che viene preferito però alla compagnia di una studentessa (peraltro fidanzata). E poi, soprattutto, una scelta estrema: quella di togliere la vita a un uomo che la merita senza potere mai essere incolpato come assassino, pur di sentire nuovamente un certo attaccamento alla vita e un grande entusiasmo. Strabiliante, vorticoso, ricco di suspense. Sconvolgente soprattutto nel momento in cui l'omicidio viene confessato alla sola persona al mondo che il prof avrebbe creduto dalla sua parte. Ma non vado oltre, perché l'epilogo - come in tutti i lavori di questo regista - è probabilmente il passaggio che più sorprende e che poi fa maggiormente riflettere. Un film da brivido, che rimette in discussione tutto e che lo fa con una meticolosità allucinante.
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