(Firenze 1396 ca - 1484) nome con il quale è passato alla storia un povero prete della campagna mugellana (Arlotto Mainardi), la cui figura dinoccolata, le cui burle e facezie (ricordate anche dal Magnifico, da Pulci e da Poliziano) furono tramandate da un amico rimasto anonimo nel volume Motti e facezie del Piovano Arlotto (Firenze 1478 e 1485-88). La fresca, vivacissima lingua vernacola in cui il libro è scritto sorregge una varia, arguta descrizione del mondo popolano e artigiano del Quattrocento fiorentino. I Motti e facezie sono l’unica, autentica espressione, nel sec. XV, di una letteratura popolare immediata, non filtrata, cioè, attraverso la tradizione letteraria aulica.