(Firenze 1498-1563) scrittore italiano. Tradusse dal latino l’Ecuba di Euripide e compose due commedie di impostazione classica: La sporta (1543) e L’errore (1553), la prima derivata dalla Clizia di Machiavelli, la seconda accusata di plagio sempre machiavelliano. Nel Ragionamento sopra le difficoltà del mettere in regole la nostra lingua (1551) prese parte alla questione della lingua come assertore, contro le teorie bembiane, dell’uso di un fiorentino vivo, slegato dalla tradizione letteraria: questa posizione lo portò a negare la paternità dantesca del De vulgari eloquentia, che G.G. Trissino aveva riproposto e interpretato nell’ottica di una soluzione «cortigiana» della lingua. Le sue opere più originali restano I ragionamenti di Giusto bottaio (1548), 10 dialoghi immaginari di un vecchio bottaio con la sua anima, e La Circe (1549), opera meno ottimistica e serena della precedente, che affronta il tema del contrasto tra i sensi e la ragione, sempre però all’interno di una concezione della cultura come bene di tutti e strumento di progresso morale e civile. Notevoli, infine, le Letture sopra la «Commedia» di Dante, tenute pubblicamente tra il 1541 e il 1543 e tra il 1553 e il 1563, nelle quali, in sintonia con le voci più autorevoli della cultura fiorentina e con le direttive medicee, G. ripropone il magistero morale e linguistico di Dante.