György Lukács è stato un filosofo e critico ungherese. Approfondì gli studi in Germania, dove frequentò Simmel, Weber, Bloch. Dopo alcuni testi in lingua ungherese, scrisse in tedesco una raccolta di saggi, L’anima e le forme (Die Seele und die Formen, 1911), e uno studio d’impostazione hegeliana sul romanzo come raffigurazione letteraria caratteristica della condizione umana estraniata, La teoria del romanzo (Die Theorie des Romans, scritto nel 1914-15, pubblicato nel 1920). Accostatosi al marxismo, si iscrisse al partito comunista ungherese. Alla caduta di Béla Kun fuggì a Vienna, poi a Berlino. Tra il 1919 e il 1922 preparò i saggi raccolti in Storia e coscienza di classe (Geschichte und Klassenbewusstsein, 1923), uno dei testi fondamentali del «marxismo occidentale». A Mosca, dove visse dal 1933 fino al rientro in Ungheria nel ’44, scrisse, tra l’altro, Il romanzo storico (1947; ed. ted. Der historische Roman, 1955), Saggi sul realismo (1946; ed. ted., Essays über Realismus, 1948), Thomas Mann (1949), Contributi alla storia dell’estetica (Beiträge zur Geschichte der Aesthetik, 1954). In Ungheria partecipò alla direzione politica e culturale del paese. Ritiratosi poi dall’attività pubblica, preparò La distruzione della ragione (Die Zerstörung der Vernunft, 1955), vasta analisi dell’irrazionalismo come filosofia tipica dell’epoca imperialista. Nel 1956 tornò all’impegno politico diretto, partecipando al «disgelo». Appartiene a questo periodo un provocatorio saggio sull’arte d’avanguardia e il realismo: Il significato attuale del realismo critico (Wider den missverstandenen Realismus, 1957). Ministro della pubblica istruzione nel primo governo Nagy, durante la repressione fu deportato in Romania. Rientrò a Budapest nel 1957; da quell’anno fino alla morte si concentrò nel lavoro filosofico, preparando fra l’altro un’opera sistematica sull’Estetica (1963). Nella vasta produzione di L. hanno particolare rilievo i saggi critici e i contributi d’estetica. Per lui, come per ogni pensatore marxista, l’arte è una forma specifica di rispecchiamento della realtà e, più specificamente, della società, che va colta, tuttavia nel suo divenire e nelle sue contraddizioni, senza schematismi. La specificità dell’arte è caratterizzata sia dall’«elevazione del particolare a tipico», sia dal fatto che l’umanità vi è sempre rappresentata «nella forma di individui e di destini individuali». In più, è sempre implicito, nell’opera d’arte, «il momento della presa di posizione positiva o negativa rispetto all’oggetto estetico riprodotto».