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Anno edizione: 2003
Anno edizione: 2012
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L'idea che una forte comicità licenziosa traini da sola questa storia è pura illusione. Questo è un romanzo terribile, tremendo, una vera discesa all'inferno lavorata con sapienza e tocco non comuni. Camilleri gioca di fino muovendo i periodi in un registro salace, ambiguo; del resto il ventennio fascista è un campo aperto a tutto questo, seminando idiozie e facendo danni più di mille grandinate, berciando proclami da macchietta, esaltando mascelle e muscoli come fossero menti sopraffine, inneggiando a un patriottismo accattone che nel tempo ha mostrato le sue miserie. L'autore non ci fa e non si fa mancare niente in questo banchetto: vizi sordidi e silenzi colpevoli, lettere anonime e vendette immediate, doppie e triple vite lanciate in una dissennatezza patetica, ignoranza e timore elevati a norma. E' in questo sfondo che vive e si muove Michelino, bambino di soli sette anni che scopre, ma solo nei momenti in cui ascolta alla radio la voce del Duce, d'avere un pene grande come un obelisco. E ne è ignaro, non capendo il perché dello stupore altrui quando si trovano di fronte al suo arnese. E' questo il mistero bellissimo del libro, una somma di eccessi che stanno per preludere alla tragedia. Il comunismo visto come veleno mortale, una chiesa che si rivela come un'esecrabile fogna umana, una famiglia persa fra tentazioni, desideri, dettati di colpa e punizione che finiranno per scendere nell'animo del bambino come la spinta finale verso la sua sorte. Un indottrinamento pazzesco, feroce e insieme puerile, dinamiche sociali degne del ridicolo più sfacciato, ma vendute per spirito inattaccabile, roccioso amor di patria, venerazione del nulla, di un sogno di conquista africana che vale poca sabbia inutile, di un Paese perso nel grottesco lazzaretto fascista, in una zotica fierezza senza sviluppo, trucidato da menti ignobili e crismi deplorevoli. Un libro che è specchio di quel tempo,stupenda favola nera come pochissime altre nel nostro Paese.
Un Camilleri diverso dal solito. Il protagonista qui non è il commissario in gamba e umano, ma un bambino, la cui innocenza è profanata non da un singolo individuo, ma da tutta una società, che sembra ostinarsi grottescamente contro di lui in modi vari e più o meno subdoli. Ciò che ne viene fuori è una storia che lascia basiti, intristiti e con in bocca l'amaro. Ma che ci permette di renderci conto fino a dove il fanatismo può condurre.
Ignorate il quarto di copertina: crea false aspettative e in parte svela troppo. Fatto questo vi troverete nelle mani un romanzo per niente leggero indorato in una lingua siciliana piacevole (solo a tratti difficoltosa nel lessico) che lo rende meno straniante per il tono con cui presenta i fa ... (continua) Ignorate il quarto di copertina: crea false aspettative e in parte svela troppo. Fatto questo vi troverete nelle mani un romanzo per niente leggero indorato in una lingua siciliana piacevole (solo a tratti difficoltosa nel lessico) che lo rende meno straniante per il tono con cui presenta i fatti, sul finire della vicenda forse difficili da accettare. Michelino è il protagonista, un bambino di sei sette anni, che vive all'epoca della guerra in Abissinia nella Sicilia già resa nota da Camilleri, e la voce narrante si intrattiene con lui, spessissimo con i suoi pensieri. Il narratore, così, ci porta lungo quanto Michelino finisce per vedere e fare: testimone innocente della corruzione dei grandi, reinterpreta ogni loro peccato e vizio alla luce di una coerenza morale verso cui pensa tutti siano in ogni momento protesi (parenti, clero e fascisti), ma, stretto tra tale fervente ricerca di fedeltà agli insegnamenti cattolici e fascisti, il suo capriccio di bambino e i cattivi esempi che gli adulti 'ripuliscono' per le sue domande, Michelino subisce e fa cose inaudibili - o nel silenzio dei grandi o nella loro totale ignoranza - e i suoi pensieri adulti ed estremi, in mezzo a tante 'educazioni' ma senza una vera guida, lo tramutano in un mostro inconsapevole e inavvertito. I pensieri di Michelino, quando sono lontani dai progetti "criminali" e orientati alla costruzione di una coerenza morale, rimangono sempre innocenti e attirano la simpatia del lettore, per lunghi tratti il libro finisce quindi per procedere come un normale romanzo di formazione, una sorta di “Indifferenti” per 'picciriddi'. Ma il finale e i fatti che accadono creano rotture, nel lettore, che Moravia ignorava: non c'è punizione, non c'è redenzione, non si trova un nuovo equilibrio, c'è e rimane, come spesso avviene nel mondo reale, il danno senza riparo. Alla ricerca di questo danno finale definitivo, superati i due terzi del libro, la mia sospensione della credulità ha vacillato non poco, soprattutto in chiusura, ma è un particolare che potrebbe riguardare, per dirla in maniera molto scontata, la sola sensibilità del singolo.
Recensioni
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