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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2016
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La solitudine dell’assassino, ultimo lavoro di Andrea Molesini, narra dell’incontro fra il traduttore e scrittore Luca Rainer e l’ergastolano Carlo Malaguti, incontro voluto dall’editore affinché il suo autore scriva una biografia di quest’uomo, ormai vecchio, che dopo aver trascorso dietro le sbarre venti anni della sua vita viene messo in libertà per buona condotta. Non è però che la notizia della liberazione rallegri in modo particolare il carcerato che, anzi, sembra piombare, nonostante le apparenze, in un grave disagio, come se la colpa dell’omicidio che a suo tempo ha commesso non fosse stata totalmente espiata. C’è qualche cosa che avvolge come una cappa Malaguti, un segreto che si porta dentro e su cui Rainer, sempre più incuriosito, vorrebbe far luce. Non aggiungo altro perché la trama ha la giusta tensione di un giallo e un giallo in effetti è, anche se è un pretesto per mettere a confronto due anime: quella complessa di un Malaguti che ha maturato, nel lungo soggiorno in galera, una filosofia di vita per nulla disprezzabile e quella di Rainer che, nonostante non sia proprio un giovanotto, rivela una certa immaturità. I dialoghi fra i due protagonisti hanno il pregio di non essere banali, ma sono fatti da piccole perle rappresentate da osservazioni filosofiche, da dei piccoli cammei sull’esistenza che finiscono per interessare il lettore forse ancor più della vicenda. Alla fine l’alone di mistero sarà squarciato, ma si potrà anche constatare come ogni essere umano debba imparare a vivere con i propri errori, con i sensi di colpa, accettandoli, come parte integrante di un “io” che, accanto ad aspetti positivi, ne ha pure di negativi, insomma siamo quel che siamo e come tali dobbiamo accettarci. É da un po’ di tempo che leggo i libri di Andrea Molesini e quindi ritengo opportuno evidenziare le caratteristiche dell’autore presenti appunto nelle quattro opere fino a ora edite. Il comune denominatore è il dramma della guerra, alternando la prima alla seconda, entrambe quelle mondiali (ed è di quest’ultima l’origine della vicenda di La solitudine dell’assassino); la scrittura, fresca e semplice, propria di Non tutti i bastardi sono di Vienna, si è fatta viva via più complessa e non sempre è riuscita; la struttura è sovente esile, ma non per questo fragile e infine la capacità di descrivere situazioni, paesaggi e protagonisti permane di buon livello. Personalmente sono affezionato a Non tutti i bastardi sono di Vienna, ma non è che le opere successive siano poca cosa; il fatto è che ogni tanto ritraggo l’impressione che qualche cosa gli sia rimasto nella penna, che ci sia un che di incompiuto al di là delle apparenze. Resta in ogni caso il fatto che, come gli altri, anche La solitudine dell’assassino è meritevole di lettura.
La voce narrante di questo romanzo è Teseo, uno stimato traduttore vagamente depresso. Uno spiraglio di luce arriva un giorno dal buio di una cella: la direttrice del carcere e il suo editore vorrebbero assicurarsi le memorie di un anziano ergastolano in procinto di uscire, ex bibliotecario dal passato fitto di segreti. E per farlo hanno bisogno dell'aiuto di Teseo perchè non basta un semplice ghostwriter, ci vuole un traduttore: qualcuno in grado di tradurre non solo le parole ma anche le emozioni più intime, i silenzi, le contraddizioni. La figura del maturo protagonista cela un segreto ed un passato complicato, cela una storia da raccontare e da comprendere. In questo romanzo si avverte l'intento dell'autore di sondare in maniera più decisa l'aspetto psicologico rispetto a quello storico. Il romanzo si propone inoltre di intrecciare due piani temporali e due anime, una di ieri ed una di oggi, un uomo protagonista di un'intervista ed uno scrittore che vuole conoscere un uomo e scrivere di lui. Da qui nascono due storie, due sentieri di vita. Purtroppo l'approfondimento storico è piuttosto scarso e la narrazione a tratti appare lenta. Una sufficienza per questo romanzo che poteva essere sviluppato un modo migliore.
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