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Anno edizione: 1986
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Un ricco conte milanese, Aleardo, alla ricerca di terre selvagge da comprare per costruire ville e alberghi di lusso nei quali ospitare la ricca e annoiata aristocrazia lombarda, si ritrova a vivere una fiaba tutt’altro che romantica, oserei dire quasi lugubre, nella quale egli stesso svolgerà il ruolo di “principe”, certamente non azzurro, in veste di vittima sacrificale, al fine di spezzare l’incantesimo e riportare alla luce la natura umana che si cela dietro una brutale e dolorosa bestialità. L’isola portoghese di Ocaña, sulla quale il destino ha voluto che il conte si ritrovi a sbarcare, non è segnata sulle carte nautiche e ha l’inusuale forma di un corno. Ma non è questo l’aspetto più sorprendente della nuova esperienza che attende il ricco rampollo lombardo: sull’isola, infatti, vivono tre fratelli, Ilario, Hipolito e Felipe e insieme a loro, all’interno della casa corredata di molte stanze che si trovano in uno stato di «cupo abbandono», una servetta che sembra una vecchia, ma che si rivela essere «una bestiola verdissima e alta quanto un bambino, dall’apparente aspetto di una lucertola gigante» si aggira come un’ombra e trova dimora in cantina, dove nasconde il suo piccolo tesoro. L’Iguana è un essere disperato: soffre, non solo per il timore di sé, di essere ella stessa il male e la bestia, ma anche per la solitudine in cui verte e soprattutto, soffre perché pensa a ciò che era prima di diventare una bestia. Si riconosce nell’altro e se l’altro la disprezza, ella vede in sé la malvagità, ma se l’alterità assume nei suoi confronti un atteggiamento pietoso e compassionevole, se riesce a cogliere l’umanità e la natura benigna dietro quella selvaggia, allora la pelle verdastra dell’animale lascia il posto a quella rosea dell’uomo. Ma dove si cela la vera umanità, nell’uomo o nella bestia?
Libro decisamente ostico sia per lo stile, abbondante di lunghe subordinate che, a volte, fanno perdere il filo della frase e sia per la trama che, soprattutto nella parte finale, ho trovato ingarbugliata. Alla fine, ho cercato delle critiche letterarie che confermassero o meno ciò che credevo di aver compreso ma ho scoperto che è un libro pressoché sconosciuto sin dalla sua prima pubblicazione. Proprio per la sua complessità, infatti, venne snobbato sia dalla critica che dal pubblico. Ciò che ho trovato in rete, suggerisce che l'iguana rappresenti la Natura ma questa visione mi lascia perplessa perché, a mio parete è solo una delle sfaccettature della bestia., Personalmente ho dedotto che, scegliendo questo animale, rettile dotato di arti utili alla narrazione, la Ortese abbia voluto richiamare il concetto atavico di Male, ovvero il serpente nell'accezione di corruzione, deviazione dalla retta via. Cerco di spiegarmi meglio: non è che Estrellita fosse veramente una iguana ma il suo passato (che non viene mai esplicitamente raccontato e, pertanto, si va per immaginazione in base alle parole poco gentili dei protagonisti maschili), nel tempo, ha dato questa forma il suo aspetto esteriore: la lascivia, la povertà, l'ignoranza hanno trasformato una bellissima giovinetta (che per un attimo vediamo attraverso gli occhi di Daddo) in un essere "inferiore". Questa suggestione mi deriva dal fatto che anche il "corruttore", ha una doppia forma: quando il suo animo è malinconico virante al pessimismo, non solo i suoi abiti sono laceri e dozzinali ma sul suo volto di giovane diciottenne appare un intrico di rughe e i capelli si fanno d'argento. Ma quando la superbia della sua nascita si risveglia, il portamento è elegante, altero ed i suoi panni, fin nei minimi dettagli, indicano la sua aristocratica origine. I piani di lettura sono molteplici e merita una seconda lettura per tentare di capirli.
La Ortese così riassume la propria opera: «(…) Un brav’uomo va in un’isola - è molto ricco e può andare dovunque - e conosce un mostro. Lo prende come cosa possibile, e vorrebbe reintegrarlo - suppone ci sia stata una caduta - nella società umana, anzi borghese, che ritiene il colmo della virtù. Ma si è sbagliato: perché il mostro è un vero mostro anzi esprime l’animo puro e profondo dell’Universo di cui il signore non sa più nulla, tranne che è merce». Non vi preoccupate, questa descrizione non anticipa nulla! La vera bellezza di questo romanzo non risisede tanto nelle vicende narrate, nella semplice fabula. Aprire questo libro significa aprire uno scrigno, tuffarsi in un complicato gioco di scatole cinesi, non è come leggere un semplice romanzo: l'atmosfera è onirica, fiabesca, grottesca e a tratti comica...certamente satirica. Vero simbolo ammaliante del romanzo è la figura di questa Iguana ( con la maiuscola, si!), Estrellita, servetta bistrattata, bestia scambiata per fanciulla:chi è davvero? E che cosa simboleggia? A voi il piacere di scoprirlo... Un testo colto e dall'atmosfera onirica, rarefatta e sognante, quasi fuori dal tempo. Questo è stato il mio primissimo approccio ad Anna Maria Ortese e non posso fare altro che consigliarvelo: dietro una folta schiera di simboli e dietro ai misteri di una storia particolare ed inconsueta, si cela una delle più belle penne della letteratura italiana..
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