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Le prime frasi
Nel flusso di passeggeri che scorreva a ondate verso l'uscita, era la sola a non affrettarsi. Con la sacca da viaggio in mano, la testa eretta sotto il velo da lutto, aspettò calma il suo turno per porgere il biglietto all'incaricato, poi avanzò di qualche passo.
Quando aveva preso il treno a Bruxelles erano le sei del mattino e l'oscurità era impregnata di pioggia gelida. Anche lo scompartimento di terza classe era bagnato, bagnato il pavimento sotto le scarpe infangate, bagnate le pareti coperte di un vapore vischioso, e bagnati i finestrini, dentro e fuori. I passeggeri, pure loro con i vestiti bagnati, sonnecchiavano.
Alle otto, proprio all'arrivo a Hasselt, le luci del treno si spensero, e così quelle della stazione. Nelle sale d'attesa rivoli d'acqua colavano dagli ombrelli che emanavano un odore di seta fradicia. Alcuni viaggiatori si asciugavano accanto alle stufe ed erano tutti più o meno vestiti di nero, come Edmée. Un caso, oppure lei lo notava soltanto perché era in lutto stretto? Per la gente di campagna non è una sorta di uniforme, il nero?
12 dicembre. Il numero, che si stagliava a grandi caratteri anch'essi neri di fianco a uno sportello, la colpì.
Fuori la pioggia scrosciava, la gente correva o si rifugiava dentro i portoni, e una fitta nuvolaglia rendeva il ciclo così plumbeo che i negozi dovevano tenere le luci accese.
Davanti alla stazione c'era uno di quegli omnibus dipinti di verde e di nero che fanno servizio extraurbano. Era deserto: non si vedevano ancora né il manovratore né il bigliettaio. La scritta sul cartello indicava «Maeseyck», che si trovava proprio sulla strada per Neeroeteren, dov'era diretta Edmée.
Senza chiedere niente a nessuno, salì nella prima carrozza, divisa da un tramezzo a vetri. Di qua, sedili di legno e pavimento cosparso di mozziconi e sputi; di là, imbottiture di velluto rosso e una passatoia.
Dopo un attimo di esitazione, Edmée varcò la soglia della prima classe, sedette in un angolo, ben eretta, e sollevò il velo di crespo che le copriva il viso. Era minuta, pallida, anemica come possono esserlo le ragazze a sedici anni. Portava i capelli ripartiti in due trecce strette e arrotolate sulla nuca in un severo chignon.
Passò una mezz'ora. La seconda classe cominciava a riempirsi di gente per lo più contadine cariche di ceste, che parlavano a voce molto alta, com'è tipico dei fiamminghi. C'era chi, data un'occhiata a Edmée, tutta sola al di là del divisorio, sussurrava qualcosa scuotendo la testa in segno di compassione, e subito altri sguardi si posavano sulla ragazza.
Si udì un fischio, e l'omnibus cominciò ad avanzare lungo le strade della cittadina ancora sonnolenta. Le lampade dei vagoni si accesero come per caso, e così rimasero per tutto il viaggio.
La pioggia, il velo di Edmée, i pesanti scialli neri delle contadine, l'acqua che sgocciolava sul pavimento e sui sedili delle carrozze tutto si fondeva in un lugubre grigiore. La terra arata delle campagne era scura, le case costruite con mattoni di un bruno sporco. L'omnibus attraversò il distretto minerario del Limburgo, e addentrandosi nei quartieri operai costeggiò una fila di discariche.
Le carrozze erano vecchie, sicché i passeggeri continuavano a sobbalzare e, loro malgrado, a dondolare il capo. Edmée come gli altri. Ogni tanto le donne si scambiavano qualche parola. Il vetro divisorio non lasciava passare i suoni, ma permetteva di vedere l'espressione afflitta dei volti, le bocche che si aprivano in un sospiro e gli sguardi imbambolati che, a ogni pausa della conversazione, si fissavano sui finestrini appannati.
Il bigliettaio entrò nella prima classe e si rivolse in fiammingo a Edmée che, senza guardarlo, si limitò a porgere il denaro dicendo semplicemente:
«Maeseyck!».
L'uomo aggiunse qualcosa, ma lei si voltò dall'altra parte. L'omnibus si fermava in tutti i paesini, anche ai semplici incroci dove non c'era nemmeno una casa. Subito accorreva gente soprattutto donne, che si tiravano su le sottane e si facevano issare, ridenti e senza fiato, sul predellino. Il bigliettaio allora suonava la tromba, uno squillo comico, come di giocattolo, e la locomotiva fischiava.