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Anno edizione: 2017
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Recensione di “Due occhi azzurri” di Thomas Hardy edito RBA Una giovane donna, Elfride, due innamorati Mr Smith e Mr Knight; l’inesperienza e le convenzioni sociali dell’epoca. E, se a scrivere di questi ingredienti è Hardy, la malinconia ci accompagnerà per tutto il romanzo. “Due occhi azzurri” appare, in un primo momento, più fresco e spensierato rispetto ad altri romanzi di Hardy come ad esempio “Due sulla torre”. Terzo romanzo dello scrittore, pubblicato con il suo vero nome, tratta della gelosia come si un sentimento così intenso da portare al dubbio e alla distruzione di persone e relazioni. Quella che sicuramente ne esce sconfitta è “l’onestà intellettuale e morale” quando si scontra con la realtà della vita e i sentimenti che essa porta con sè. L’utopia, quando assume il senso di -assoluto- non può che perire miseramente. Le donne di Hardy - forse per convinzione personale, forse per i dettami dell’epoca - sono sempre viste come miccia che innesca i sentimenti negli altri ma quasi mai come portatrici di quelle stesse emozioni che fanno nascere. Là qualcosa potrebbe darci una certa importanza se non ci relegasse al ruolo di strumenti privi di coscienza. Ciò non toglie che la penna di Hardy, che parte sempre debole per crescere durante tutto il racconto fino al grandioso finale, è eccellente e i suoi classici possono essere giustamente definiti immortali. Da leggere!
In un piccolo centro della Cornovaglia vivono un pastore anglicano e la sua la unica figlia, Elfride. La chiesa della parrocchia necessita di essere ristrutturata, perciò viene fatto arrivare dalla capitale il giovane Stephen Smith, un giovane architetto. La ragazza, vivendo isolata in campagna e con pochissime occasioni di vita mondana, si innamora di questo bel ragazzo e ne è ricambiata. Una tipica storia del'epoca vittoriana, scritta con passione da Hardy. La consiglio.
Elfride è la ragazza più bella di un villaggio sperduto vicino la Manica, dove vive; ha vent’anni, splendidi capelli rossi, due occhi azzurri, è figlia del reverendo Swancourt e orfana di madre. È intelligente e vivace, ama leggere romanzi e scrive talvolta i sermoni per conto del padre, poiché quelli che scrive lui sono adatti solo a far dormire l’uditorio. Fa innamorare di sé tutti i giovani del villaggio; il primo di questi muore per consunzione, ma la madre accusa Elfride di averne provocato la morte per averlo prima illuso e poi rifiutato. Elfride si innamora, subito dopo, di un giovane (ha un mese meno di lei), Stephen Smith, assistente di un grande architetto di Londra, per il quale fa disegni della canonica. Inizialmente il padre di Elfride dà un tacito assenso alla relazione della figlia ma, quando viene a scoprire che Stephen è figlio di un umile capomastro, salta su tutte le furie. I due decidono addirittura di andare a sposarsi in segreto a Londra ma, all’ultimo momento, non se la sentono di disobbedire al padre di lei. I due si fidanzano segretamente e Stephen va in India cercando di far carriera in modo da poter sposare la sua fiamma. Nel frattempo Elfride si innamora di Henry Knight, trentaduenne, intellettuale alla moda, critico letterario e storico, che scrive su uno dei periodici culturali più “in” di Londra; Henry ha stroncato il romanzo che finalmente Elfride si è decisa a pubblicare sotto uno pseudonimo maschile. Henry è sicuro che la giovanissima Elfride sia alla sua prima esperienza di fidanzamento ma, quando onestamente la ragazza gli rivela che aveva un altro con il quale stava per sposarsi e con cui ha passato un'intera notte fuori casa, la lascia! Elfride è perduta, si ammala, ma si sposa con un nobile del luogo, appena rimasto vedovo, che non si preoccupa se sia vergine o no; gli basta che lui e i suoi figlioletti la amino. Indimenticabile l’eroina di questo romanzo, una ragazza alla ricerca del vero amore, che uno stupido intellettuale (Henry) rifiuta solo perché non era alla sua prima esperienza! Elfride non passa con leggerezza da Stephen ad Henry: si duole di aver lasciato il primo fidanzato (rivelatosi un bambinone immaturo, che si spaventa di sposarla per non andare contro il volere del futuro suocero) e si sente in colpa, ma è plagiata da quell’uomo adulto, filosofo, dai severi principi e, purtroppo per lei, così ancorato al pregiudizio che la fidanzata deve essere vergine. Bellissima la scena in cui Elfride salva Henry - appeso a una parete rocciosa sulla Manica e investito dalla pioggia, che va dal basso verso l’alto, sospinta dalle correnti ascensionali -, tirandolo su con una corda fatta con i panni che ella strappa dal suo stesso vestito. Romanzo di grande valore artistico, quanto (e più, a mio avviso) di Tess dei d’Uberville. Ma perché Hardy fa morire le sue eroine?
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