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Anno edizione: 2019
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In equilibrio tra nostalgia e speranza, Fabio Geda racconta con voce unica, commovente, una giornata che racchiude un'intera esistenza. Una storia che prima o poi ci attraversa, o ci sfiora, tutti.
«Come i ponti, il romanzo di Geda è una costruzione di cui si percepisce la complessità ma che deve sembrare affusolata e aerea. E tale sembra. Il libro si legge come un page turner: capitoli brevi, intensi, cesellati, che stuzzicano nel lettore ora la curiosità sul tempo presente del romanzo, ora una nostalgia lancinante di un passato che gronda felicità perduta» – La Lettura
«Un libro scritto con rara densità, senza virtuosismi esibiti o compiaciuti, con un controllo assoluto delle parole, con un’asciuttezza che smuove montagne emotive» – Robinson
«Non sono mai stata brava a gestire la fragilità dei miei genitori: nei loro confronti non ho mai smesso di sentirmi figlia e di voler essere io quella accudita. Mi veniva spontaneo pensare che essendo piú vecchi di me dovessero essere migliori di me, punto: una di quelle cose scritte nel destino. Dovevano essere piú consapevoli, piú forti, in grado di governare con piú criterio qualunque situazione. Ma arriva un momento in cui le parti si invertono o per lo meno si sovrappongono. Nel destino c'è scritto anche questo»
Quando raggiungi l'età che avevano i tuoi genitori al tempo in cui eri un bambino, capisci quanto fossero giovani, e quanto inquieti fossero i loro cuori. In equilibrio tra nostalgia e speranza, Fabio Geda racconta con voce unica, commovente, una giornata che racchiude un'intera esistenza. Una storia che prima o poi ci attraversa, o ci sfiora, tutti. Un uomo che ha trascorso quarant'anni costruendo ponti in giro per il mondo, ed è da poco rimasto vedovo, ha preparato con cura un pranzo di famiglia. È la prima volta. Ma una nipote ha un piccolo incidente e l'appuntamento salta. Preoccupato, con addosso un po' di amarezza, l'uomo esce a fare una passeggiata. E conosce Elena e Gaston, madre e figlio, soli come lui. Si siederanno loro alla sua tavola, offrendogli la possibilità di essere padre, nonno, in modo nuovo. Trasformando una normale domenica di novembre nell'occasione per riflettere sulle imperfezioni dell'amore, sui rimpianti, sulla vita che resta.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
E' uno spunto a riflettere sul tempo perduto, sui rimpianti e sull'amore che rimane..
L’idea del romanzo è indubbiamente interessante, con quest’uomo anziano, vedovo, costruttore di ponti che l’hanno costretto a lunghi soggiorni all’estero, che ormai da tempo solo nel suo appartamento prepara un pranzo domenicale per figli e nipoti, ma, ahimè, quando è già tutto pronto gli ospiti per un contrattempo disertano l’appuntamento e allora lui esce per fare una passeggiata, in cui incontra Elena e Gaston, madre e figlio, pure loro soli. All’uomo viene un’idea che si rivelerà foriera di ulteriori proficui sviluppi, poiché invita a pranzo entrambi, che accettano. Non vado oltre perché ho già detto molto e sarebbe eccessivo impedire ai lettori di scoprire ciò che riserverà loro la lettura. Chissà perché questo romanzo mi ha richiamato alla memoria un bellissimo film del 1987, Il pranzo di Babette, che vinse anche il Premio Oscar del 1988 come miglior pellicola straniera. Benchè li accomuni solo l’idea del pranzo, per il resto sono opere completamente diverse, tranne forse per gli scopi edificanti di entrambe. Come è noto, fra tutti i giorni della settimana la domenica è quello in cui più si avverte la solitudine, quello in cui prende il sopravvento l’amarezza; prima di incontrarsi sono in questa condizione, disperatamente presenti in un’assenza di vita normale, di dialogo, di affetto, anche l’ingegnere, Elena e Gaston. Ma le ore trascorse insieme sono anche l’occasione per una riflessione sulla propria condizione attuale, sul proprio passato e il proprio avvenire. E’ quello che con una dizione largamente usata si definisce un bilancio della propria esistenza, caratterizzato da luci e ombre, da rimpianti e malinconie per un tempo che sta per finire; tuttavia è solo con una presa di coscienza che è possibile tracciare una rotta per il futuro. L’uomo e la donna hanno un disperato bisogno di comunicare a chi li sa ascoltare, quasi una confessione dalla quale uscire in un’altra dimensione con la prospettiva che il futuro non sia più così buio come prima. A Fabio Geda non mancano le capacità per proporre questa storia, con delicatezza, quasi con pudore, eppure a mio parere l’opera, se pur interessante, presenta non pochi punti sui quali ci sarebbe da ridire, perché insomma i difetti non mancano. Innanzi a tutto c’è un incipit molto lungo, ma anche tale da mettere in affanno il lettore, per non parlare poi dello stile, massiccio e greve come un blocco di marmo, ma quello che secondo me nuoce maggiormente è il frequente ricorso ai flaschback, forse per mostrare l’alternarsi delle epoche diverse, ma i periodi purtroppo non sono ben raccordati, al punto che personalmente mi hanno dato fastidio; se non bastasse ho rilevato anche una consistente verbosità quasi sempre ingiustificata e che porta inevitabilmente a un ritmo della narrazione piuttosto lento. Quindi, per concludere, pur riconoscendo al romanzo ampi meriti per la trama, mi è sembrato carente proprio nella sua costruzione, in una certa superficialità nella descrizione dei caratteri dei personaggi, e proprio per questo, fuori dal pressochè unanime coro, ritengo l’opera solo discreta, e non di certo un capolavoro.
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