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Tutto mi sarei aspettato da Franca Canapini, artista capace di percorrere una linea poetica autonoma, come dimostrato dalle eccellenti prove con Stagioni sovrapposte e confuse e, soprattutto, con Il senso del sempre, tutto ripeto mi sarei aspettato - e con quel tutto intendo una silloge di argomento piuttosto impegnativo - fuorché un poema. Se si presenta arduo scrivere un poemetto, ancor più complessa è la realizzazione di un poema, perché si tratta di una composizione in versi di carattere narrativo, in cui si svolge un determinato tema. Tanto per intenderci poemi sono l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, con i quali sono narrate storie che in epoca moderna sarebbero più facilmente scritte come romanzi. Nel caso specifico di Franca Canapini non c’è ovviamente la pretesa di gareggiare con Omero o con Virgilio, ma il tentativo di riproporre una forma oggi del tutto inusuale; e come le opere di questi maestri oggetto di studio scolastico la struttura di Viaggio nella Poesia è similare, con un’Invocazione, il corpo centrale e infine l’epilogo. Da Invocazione” Dammi parole, Apollo / l’illuminazione grande / ché possa ricordarmi che c’ero / di simbolo in simbolo in simbolo; / restituiscimi la forza / per dare voce alle pietre di Carnac / a Michel d’oro sulla vetta / agli dei silenziosamente affranti / ai fiumi tumultuosi / delle foreste mute. /…”. Si tratta del riconoscimento delle difficoltà per l’opera da intraprendere, uno sforzo immane impossibile senza l’aiuto di un’Entità superiore, a cui quindi ci si rivolge così come sovente si prega. E indubbiamente il compito è improbo perché, come dice il titolo, è un viaggio dentro la poesia, una sorta di discesa progressiva nel nerbo della stessa, alla ricerca di nuove conoscenze e, in particolare, per scoprirne e identificarne le origini. E se tale percorso comporta un ritorno al passato, alla rivisitazione dell’infanzia, il poema non è scevro da rapidi, a volte improvvisi ritorni a un presente in cui germoglia il seme del futuro. C’è una spiccata originalità, pur permeata a tratti da un istinto epico, e a volte da un riuscito afflato d’anima (…/ Ed ecco la neve /.- ancora la neve – / che smussa i colori / i vertici addolcisce e ricama. /…). Sono versi che, per certi aspetti, sembrerebbero ispirati da un Pascoli in un momento di rara felicità, ma la l’ispirazione è una cosa e la realizzazione è un’altra, così che prevale un’autonoma inclinazione che sintetizza dialetticamente il concetto e la situazione che si intendono esprimere, in forma moderna, gradevole e di non difficile interpretazione. E’ lungo questo viaggio, che sostanzialmente si svolge nell’accostare idealmente il lontano passato e il presente, ed è così che al rapimento di Proserpina si affianca un auto rapimento per amore. Non manca poi una discesa agli Inferi, con una Euridice dei nostri tempi e con il capitolo finale non a caso intitolato I fiori di Proserpina. Oserei dire che Franca Canapini, anziché scendere nel passato del mito ha preferito riportare questo all’epoca attuale, realizzando questo poema che è essenzialmente una grande storia di amore immaginato, un impulso improvviso che l’ha convinta a esaminarsi, a intraprendere questo viaggio, a volte tumultuoso, altre bucolico, dentro se stessa. Non siamo più abituati a leggere poemi, perché ormai non se ne scrivono più, ma se uno c’è, ed è questo, se vogliamo riprovare il piacere, pur se accompagnato da una certa fatica, di perderci nelle pagine di un libro, vagando con la mente sul mormorio dei versi, ecco, il poema è servito e sarete accontentati, certo che alla fine sarete pure soddisfatti.
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