Le prime frasi del libro:
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Sul pavimento in un angolo del mio studio c'è una vecchia e malandata cartellina verde, che sporge da sotto una pila di carte varie. La cartellina contiene un dattiloscritto che credo mi racconterà molte cose su mio padre e sul mio passato. Da quando il dattiloscritto è stato ritrovato, gli ho dato un'occhiata, l'ho abbandonato, mi sono dedicato ad altre cose, ci ho pensato un po' su, ma in definitiva non ho fatto niente. Il dattiloscritto mi è stato consegnato qualche settimana fa. È sbucato fuori dopo più di undici anni. È un romanzo che ha scritto mio padre, un'eredità di parole, forse sono delle ultime volontà protratte nel tempo. Non so ancora cosa contenga. Come tutte le sue opere di narrativa, non è mai stato pubblicato. Credo che dovrei leggerlo.
Quando ho iniziato a concepire il libro che ora sto scrivendo, steso a letto, di notte, prima che saltasse fuori il testo di mio padre, volevo partire da altri libri. Mi interrogavo sul passato, come faccio spesso, e divagavo andando indietro e sempre più indietro nel tempo; pensavo che un modo di riafferrare il me stesso più giovane poteva essere quello di rileggere gli scrittori che mi piacevano da ragazzo. Per esempio avrei riguardato
Kerouac,
Dostoevskij,
Salinger,
Orwell,
Hesse,
lan Fleming e
Wilde. Volevo capire se potevo abitare di nuovo i mondi che questi scrittori avevano creato nella mia mente, e identificarmi in essi.
Oltre a parlare degli scrittori che più avevano contato per me, il libro avrebbe trattato degli anni sessanta e settanta, oltre che del presente, con un po' di materiale sul contesto in cui la lettura e poi la rilettura di ogni libro si erano svolte. Speravo che ogni libro avrebbe riportato alla luce i ricordi delle circostanze in cui era stato letto. Questo poi mi avrebbe spinto a pensare a cosa ogni singolo libro aveva significato per me.
Potevo parlare di chiunque, ma avevo già deciso che al centro ci sarebbe stata l'opera di
Cechov, le sue lettere, le sue commedie, i suoi racconti. Era stato uno degli autori preferiti di mio padre, discutevamo spesso di lui come uomo, come scrittore e come medico. Tutti i libri offrono un possibile approccio alla vita; e molti di questi approcci ti stancano crescendo. Sono come relazioni ormai morte, non possono più darti nulla. Tuttavia io continuo a essere curioso di Cechov e delle numerose voci che la sua opera mette in scena, e penso spesso di ritornare non solo alla sua scrittura, ma a lui come uomo, al modo in cui pensava e sentiva, alle domande che faceva.
Sono arrivato ad avere una coscienza di me stesso e una coscienza politica molto forte negli anni settanta, un'epoca particolarmente ideologica in cui la voglia di autodefinirsi poteva sfociare nell'aggressività. Le donne, i gay, le persone di colore, cominciavo a dare una versione nuova o inedita della loro storia come gruppo. Se volevi lavorare in teatro, come me, era impossibile ignorare il fatto che la cultura era politica. Quando Trockij scrisse: “La funzione dell’arte nella nostra epoca è determinata dal suo atteggiamento nei confronti della rivoluzione”, il solo problema per gli scrittori dell'epoca era: da che parte stavi? E anche: cosa stavi facendo? (Non potevi chiedere: quale rivoluzione? senza estrometterti automaticamente dalla conversazione.)