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Anno edizione: 1991
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Come un uomo qualsiasi, «che guardava passare i treni» e sognava la vita che vi si nascondeva, possa improvvisamente abbandonare tutto in una fuga dove si mescolano il delitto, il terrore, l’ebbrezza e la lucidità.
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è un libro interessante, anche se all'inizio può sembrare davvero lento.
Questo libro parla di un viaggio. Il viaggiatore è un individuo dall’esistenza qualunque, figlio della società piccolo borghese degli anni ’30 (ma potrebbe essere benissimo oggi); il punto di partenza è una prigione avente le sembianze di quella stessa società, dove il nostro individuo è libero in apparenza ma recluso nella realtà; il punto di arrivo è l’agognata liberazione, che assume (paradossalmente) le forme del manicomio in cui il protagonista è alla fine rinchiuso poiché ritenuto folle secondo i canoni della società, ma dai quali, a conclusione del suo percorso, si sente finalmente affrancato. Quanto gli basta per considerarsi un uomo libero. Le tappe intermedie sono la fragilità umana, l’incomprensione, l’equilibrio precario che separa normalità da follia. Una fredda e tetra Parigi, con i suoi alberghi, bistrot, boulevard e umanità variegata, fa da sfondo a questo viaggio simbolico. La scrittura è secca, essenziale, ridotta all’osso. A parte alcune inchieste di Maigret lette da adolescente, questo romanzo è stato il mio primo incontro con Georges Simenon. Leggerò sicuramente altro di questo scrittore.
“Per quarant'anni mi sono annoiato. Per quarant'anni ho guardato la vita come quel poverello che col naso appiccicato alla vetrina di una pasticceria guarda gli altri mangiare i dolci.”
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