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Anno edizione: 2013
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Il protagonista lascia la sua vita di provincia, compresa la moglie Mara e il figlio, dopo aver assistito alla strage di 43 minatori per incuria della miniera stessa e si trasferisce a Milano per prendersi una vendetta contro i "torracchioni lucidi di vetro", i grattacieli dove si trovano i centri di potere. L'opera muove un'aspra critica nei confronti delle bieche logiche di potere in nome della produttività sempre maggiore a discapito dei lavoratori, della spersonalizzazione dell'essere umano in una grande e prospera città, del consumismo sempre più marcato che costringe l'uomo a sentire dei bisogni che naturalmente non avrebbe. Pur essendo un'opera del 1962 i temi risultano del tutto attuali e lasciano al lettore l'amaro in bocca nel constatare che non molto è cambiato da allora.
Libro splendido. Superate le prime pagine in cui il lettore fa un pochino più di fatica a immergersi nel mondo di Bianciardi, dopo ti cattura. Si può leggere anche come una sorta di diario contenente le riflessioni di Bianciardi (ampiamente argomentate). È il manifesto del suo pensiero, del suo stile. Inoltre, ho adorato la descrizione e contrapposizione di Anna e Mara, che seppur diverse dimostrano la loro grande forza e indipendenza
“La vita agra” è un’opera autobiografica di Luciano Bianciardi, scritta nel 1962, incentrata su una missione dell’autore: vendicare la morte delle 43 vittime nella miniera di Ribolla, a causa della scarsa sicurezza sul lavoro, motivo per il quale egli si trasferisce a Milano, lasciando moglie e figlio e dando inizio ad una parentesi della sua vita, a seguito della quale non guarderà più la società allo stesso modo. La sua missione, infatti, non è altro che una metafora della rabbia dell’autore, una rabbia alla quale non ha potuto dare sfogo, alla quale non ha potuto ribellarsi, poiché, per quanto ci si sforzi, siamo tutti “formiche”, vittime indifese, e a tratti anche contribuenti, del sistema capitalistico.
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