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«Se i principi si degnassero di fare alquanto di riflessione al loro ministero, intenderebbero da per se stessi qual sia l'istituto della natura e quale l'intenzione di Dio in aver consegnato alla loro cura popoli da governare. Certamente per proccurar la felicità a tante suddite persone, e non già per procacciar loro l'infelicità; che questo sarebbe il vero ritratto de’ tiranni».
(Ludovico Antonio Muratori).
Della pubblica felicità, opera ultima (1749) e politicamente più matura di Ludovico Antonio Muratori, segna emblematicamente il trapasso tra la cultura politica di antico regime e quella moderna. Il nuovo, per certi versi rivoluzionario, concetto di «felicità pubblica» si connette infatti ancora con la precedente idea del «principe buono», in grado per virtù personale di orientare al meglio le sorti del governo. Felicità dei sudditi e virtù del principe, pubblico e privato non sono ancora divenuti, alla metà di questo decisivo Settecento, concetti alternativi o contraddittori. La felicità è pur sempre, secondo tradizione, il «pubblico bene» cui il principe deve dedicarsi. Ma la ragione della sua condizione e della sua origine dipende ora dalla Giustizia, piuttosto che dalla prudente e intrinseca Ragion di stato. Al tempo stesso, la felicità propiziata dalla giustizia non è il risultato di una utopia razionalistica, ma scaturisce da una propensione realistica e concreta: il compito del principe sta nel dare ai sudditi non un'astratta e assoluta dose di felicità, ma piuttosto «quella felicità che è possibile al mondo».Al principe, dunque, e non all'uomo di stato, né ad una ancora quasi inesistente pubblica opinione, Muratori indirizza i suoi precetti. Ed essi riguardano singole politiche, specifici campi d'attività: le scuole notarili e quelle di scienza politica, l'annona e il debito pubblico, il controllo del lusso e l'assistenza ai poveri. Non un criterio d'azione unitario e organico, ma una possibile combinazione accorta ed equilibrata dei vari interessi, è quella che ancora si propone in questo libro come sfida implicita alla moderna politica assoluta.
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