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Questa non è una semplice autobiografia o un libro di memorie che non lasci eco nella coscienza dei lettori. Qui si dipana l’affresco di un’epoca, in parte poco conosciuta dai più, in cui si muovono accanto al protagonista altri attori che impersonano, volenti o nolenti, una immagine indelebile, che ha a che fare con il senso dell’umanità, della dignità, della verità, dell’onore e dell’amore. Qui si dibattono idee e problemi che riguardano l’”uomo” e l’umanità in generale, problemi attuali e vitali, perché quello che si domanda Manea , cioè in che cosa consista il valore della vita, la coerenza, la verità, viene ad intrecciarsi e ad unirsi su quello della propria identità e quella della patria e dell’”esilio”. Chi sei senza una patria? Quali sono i tuoi punti di riferimento? I tuoi segni di appartenenza? Certamente per l’autore è la “lingua”: la sua forma di appartenenza più intima! Senza quella, sei perso in un mondo di apparenze. Manea stesso diceva di aver superato il trauma del suo esilio per “aver preso la mia lingua, come una lumaca porta con sé la sua casa” Ma il racconto cerca di frugare in ogni piega della memoria per riassaporare magari anche l’amaro e il tragico della sua vita, delle illusioni e del disincanto, delle sue scelte, lo svanire dei suoi ideali, lo svaporare della solidità delle amicizie, avvelenate dalla corruzione, dalla falsità del regime e della società. Di fronte alla tragicità degli eventi che l’autore vive, agli orrori di due dittature, ad una patria che si allontana sempre più, perché divenuta falsa, deformata e corrotta, Norman assiste disorientato e passivo alla caduta di tutti gli ideali, al riemergere continuo del passato, di quella appartenenza e di quei rituali che avrebbe voluto per sempre dimenticare ma che non può perché sono marchiati a fuoco sulla sua pelle. Emergono comunque, a mio parere, aspetti e sentimenti positivi proprio nella vita privata. L’integrità morale, per esempio non solo del protagonista ma anche dei suoi famigliari come quella del padre, per esempio, che, schiacciato, picchiato,incarcerato ingiustamente, umiliato in tutti i modi cerca di mantenere anche di fronte al figlio la sua dignità dell’uomo. E poi l’appartenenza al “ghetto”, che comunque non si può cancellare e che la stessa figura della madre gli ricorda, anche in modo involontario, continuamente. Lo stile è a volte ellittico, numerosi sono i salti temporali, che seguono i flussi dei ricordi, e non è sempre facile seguire il suo pensiero. Ma tutto è superato grazie a pagine indimenticabili e a considerazioni molto lucide su problemi intellettuali e temi tipici dell’esistenza umana.
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