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«Non bisogna cercare di vedere nella tragedia ateniese uno specchio della città. Più esattamente, se proprio si vuole conservare l'immagine, bisogna sapere che si tratta di uno specchio infranto: ogni riflesso rinvia a una realtà sociale e, ad un tempo, a tutte le altre, mescolando strettamente i diversi codici: spaziali, temporali, sessuali, sociali ed economici».Così Pierre Vidal-Naquet riassume la tesi di fondo del suo saggio, che appare, felicemente, due volte in controtendenza nel quadro degli studi relativi al dramma attico. Come storico, il grande antichista non si piega a un'interpretazione del fenomeno drammatico tutta concentrata - secondo una tendenza oggi molto in voga - sugli aspetti teatrali. Al tempo stesso, come uomo di lettere, prende le distanze rispetto a una lettura marcatamente antropologica, finalizzata esclusivamente alla ricostruzione di forme di pensiero proprie delle società antiche. Percorre tutto il testo l'invito implicito a diffidare dalle maggiori tentazioni di una lettura contemporanea della tragedia: il realismo e l'attualizzazione politica, tanto nell'accezione degli antichi che in quella dei moderni. Non ha senso legare le immagini del dramma alla inutile ricerca di dati di realtà, né cercare nella filigrana della tragedia presunti avvenimenti contemporanei alle rappresentazioni oppure, sulla scia delle grandi letture di Anouilh, Sartre, Brecht, aprire il vaso delle interpretazioni psicologiche, che non aggiungono nulla di determinante alla comprensione del fenomeno antico. Su un simile sfondo critico nasce e respira questo pamphlet brillante, ricco di erudizione e di lampi d'intuito, che getta una luce inedita sul nesso fortissimo tra politica e tragedia nella cultura del mondo antico.
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