L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (1)
Leopardi non si lamenta dell’impossibilità teorica di affermare un infinito oltre il finito. In questione è per lui piuttosto il non darsi di un “infinito terreno” che sia ad un tempo visibile udibile gustabile tastabile annusabile. È la “vanità” delle cose, la loro strutturale incapacità ad appagarci pienamente, ciò che il “vero” – misura: essenzialmente cognizione di limiti e confini – non può mancare di annunciare: una radicale ingratitudine, un’ostinata obiezione a riconoscere che queste cose non sono affatto nulla, pur nella loro irrimediabile fragilità. Non si tratta ai suoi occhi né di negare il limite né di assolutizzarlo, ma piuttosto di leggerlo in rapporto continuo “coll’infinito e coll’uomo”: di lasciare che sia il desiderio a cogliere l’oltre che ogni limite, proprio in quanto limite, annuncia. Un’illusione: ciò che è più vero del vero. L’icona più tipicamente leopardiana di tale operazione è certamente la siepe de L’Infinito, allorché, concludendo le possibilità dello sguardo, apre orizzonti “interminati” e “sovrumani”.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore