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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2020
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Un soldato in fuga, una fatiscente casa signorile annidata in un luogo impervio fra le montagne, un vecchio nobiluomo assai misterioso sempre seguito dai suoi fedelissimi cani. E l'inquietante ritratto di una donna, forse già scomparsa. Questi sono gli elementi del racconto (o meglio: romanzo breve) di Tommaso Landolfi. Un racconto in cui non succede nulla di particolare se non la progressiva esplorazione del maniero da parte del soldato, - e dove la notte del sortilegio, che parrebbe il punto culminante della storia, non è in realtà la pagina più significativa. E' invece l'aleggiante atmosfera cupa e il continuo aggirarsi del protagonista nel labirinto di stanze, corridoi, ripostigli e sotterranei della dimora a tener desto l'interesse del lettore, anche lui vivamente coinvolto in questa pervicace ricerca di non si sa bene che cosa. Al fascino tutto particolare della narrazione contribuisce non poco lo stile: un linguaggio "anticato", ottocentesco e toscaneggiante, irto di parole non comuni o desuete, che relega la vicenda in un tempo andato ma in ogni caso mai storicamente definito. Uno dei più bei libri che io abbia mai letto...
"Racconto d'autunno" è un romanzo breve pubblicato nel 1947 dallo scrittore, poeta, traduttore e glottoteta italiano Tommaso Landolfi [1908-1979]. Il romanzo è scritto, come solito di Landolfi, in una lingua estremamente ricercata, per certi versi assimilabile finanche al surrealismo. Un vago e cruento conflitto fa da sfondo a una ingarbugliata storia d'amore e di morte di ambientazione gotica, che non disprezza nessuna delle componenti sceniche del romanzo nero: un individuo braccato (l'io narrante protagonista), una vetusta abitazione, un enigmatico vecchiardo, una serie di animali "demoniaci", un ritratto funesto, l'ammaliante donna del ritratto, un sotterraneo che nasconde un segreto infausto e, infine, il fulcro dell'opera, un cerimoniale di negromanzia, con al centro, appunto, una "dark lady" insieme candida e perfida, invocata proprio per via necromantica. Che dire?... Landolfi scrisse il romanzo nel 1946, a Pico, nel palazzo di famiglia, parzialmente devastato dagli accadimenti della guerra. Opera intrisa di fantastico, anche se il fantastico viene comunque utilizzato per mascherare la tragica vicenda autobiografica dell'autore: la precoce dipartita della madre, il complicato rapporto con il padre e la distruzione della dimora della sua infanzia. Elementi fondamentali alla base del romanzo, pure in questo lavoro, in linea proprio con la media della letteratura landolfiana, sono: il meditare intorno all'occaso, il linguaggio sperimentale e l'alterazione espositiva... Lettura meritevolissima!
Leggere Landolfi è come fare un salto al museo della lingua italiana. Una lingua usata con meticolosa scientificità mista a poesia, tanto nelle descrizioni degli ambienti e degli oggetti, quanto nelle azioni dissezionate con la precisione di fotogrammi che poi si ricompongono e scorrono in una sequenza limpida, pulita e fluida. Verbi, termini e locuzioni obsoleti, desueti, dimenticati, superati o decaduti; costruzioni sintattiche sofisticate, aggraziate e lucidate come l'argento appena passato col Sidol, che ti fanno capire da dove veniamo, da quali picchi linguistici siamo scesi, e ti restituiscono quel sentore d'antico, un antico mai vissuto, ma annusato magari negli scialli di tua nonna o negli antri freschi di case d'altri tempi. Una casa d'altri tempi, un 'infernale labirinto' di cui ti viene da scarabocchiare la piantina, e un mondo gotico che lentissimamente si scioglie dal mistero a piccoli colpi di suspence; un racconto dai sinistri e cupi cromatismi dell'autunno, non solo come fenomeno astronomico, ma anche come crepuscolo esistenziale ammantato di pazzia. Si tratta comunque di un bellissimo romanzo che, al di là dello stile e delle scelte narrative molto landolfiane, che possono piacere o meno, possiede un' atmosfera tanto potente che anche dopo anni, appena la stagione volge al grigio, non posso fare a meno di ricordarmi di «Racconto d'autunno»
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