Le prime frasi del romanzo:
PRIMA PARTE
1
Potevo imboscarmi a New York. Lo capii subito, già dalla nave, quando passò sotto la Statua della Libertà in un'alba fredda che spuntò rapidamente dietro di me e disperse la nebbia dall'acqua color lavagna. Era Manhattan, quella, che già mi sovrastava. La gente che mi circondava mi apparve minuscola al confronto, tutti a fissare a bocca aperta le scogliere artificiali e le altre scogliere ancora più alte alle loro spalle, che si perdevano a vista d'occhio verso l'America e ostacolavano il loro ingresso. Vedevo il terrore nei loro occhi.
Quegli occhi potevo guardarli senza timore di essere riconosciuto. Non erano volti irlandesi, quelli, e non era fango irlandese quello che imbrattava gli orli dei loro cappotti. Erano stati trascinati per tutta Europa, quei cappotti. C'erano intere famiglie, tre o quattro generazioni; gli irlandesi invece viaggiavano da soli. C'erano le vecchie decrepite dai volti sfatti e maligni, che tenevano strette le borse portate con sé attraverso il continente, piene di spago e gusci d'uovo e pietre staccate dai muri di case perdute. E alle loro spalle i mariti, nascosti dietro la barba, dagli occhi ancora giovani e combattivi. Sorvegliavano le valigie e gli scatoloni ai loro piedi. E i loro figli e nipoti, maschi e femmine, con gli scialli ricamati e i berretti neri, e bambini ancora più piccoli e ragazze incinte con giovanotti magri seduti o in piedi accanto a loro, tutti intimiditi dalle scogliere della città che si avvicinava. Perfino i più piccoli intuivano che non era il momento di lasciarsi prendere dall'eccitazione e se ne stavano zitti, mentre la scia del
Reliance mandava piccole onde a infrangersi sulla costa di Bedloe Island e su quell'enorme femmina di pietra -
mandateli da me, i senzatetto, sballottati dalla tempesta - e i genitori e i nonni tremavano al cospetto del Nuovo Mondo e cercavano di capire se quello che stavano guardando era il davanti o il didietro. Ero l'unico uomo solo, l'unico che non aveva paura di quello che si stava avvicinando e si faceva sempre più grande davanti a noi. Qui sì che un uomo poteva sparire, poteva morire, se voleva, e poi tornare alla vita, grande e bella.
Ero arrivato.
Ma ci lasciammo Manhattan alle spalle e andammo avanti a navigare verso la costa del New Jersey, rituffandoci quasi nel buio della notte. Il silenzio intorno a me si faceva sempre più profondo, mentre l'isola ci spuntava davanti. Era l'ultimo tratto del Vecchio Mondo crudele e portava lo stesso nome in tutte le lingue che si sentivano a bordo, man mano che ci avvicinavamo:
l'isola delle lacrime, die Träneninsel, the isle of tears. Ellis Island.
Centinaia di piedi che si trascinavano intrappolati sotto la volta della grande sala; l'aria era piena dei sussurri dei milioni di persone passate di lì, dei pianti di quelli che a migliaia erano stati fermati e rispediti indietro. Tesi l'orecchio alla ricerca del picchiettio di una famosa gamba, ma non sentii niente. I vecchi cercavano di raddrizzare schiene ormai curve da tempo e le madri strofinavano le guance pallide dei loro bambini per colorirle un po'. Uomini dall'aria selvaggia si passavano le dita nella barba incolta e rimpiangevano di non essersi rasati prima di sbarcare. Le donne ebree accarezzavano i riccioli dei propri figli e tentavano di ficcarglieli sotto il cappello. Pezzi della nuova lingua venivano provati e passati di bocca in bocca.
« Sì, signore. »
« No, signore. »
« Mio cugino, avere casa. »
« Sono un contadino. »
« Qu-eeens. »
L'ispettore medico mi guardò dritto negli occhi. Sapevo cosa stava cercando. Mi aveva spiegato tutto un anarchico zoppo e ansimante che era al suo settimo tentativo di sbarco.
«Vedono la gamba che zoppica e non il cervello» mi aveva detto. «Idioti. Quando finalmente capiranno che sono troppo pericoloso per il loro paese, allora sì che sarò felice di tornarmene indietro. Ma fino a quel momento continuerò a fare il pendolare tra Southampton e la loro Ellis Island. »
« Se potessi pagarti la prima o la seconda classe » gli dissi, « non dovresti neanche metterci piede, sull'isola. » «Credi che non me ne sia reso conto?» mi rispose. «Me lo posso permettere. Ma non voglio. »
L'ispettore cercava segni di tracoma nei miei occhi e di follia dietro. Non fu capace di fissarmi troppo a lungo (nessuno ci riusciva) e non vide alcun motivo per rispedirmi indietro. Alla mia sinistra, un altro ispettore tracciò una grossa L su una spalla con un gessetto nuovo di zecca. L stava per
lung, polmone. Conoscevo i sintomi; era una vita che li vedevo. L'uomo con la sua L nuova di zecca si era già arreso. Crollò in uno spasmo di tosse e per poco non ci lasciò quel brandello di vita che gli restava. Dovettero portarlo via di peso. Una E sulla spalla indicava gli occhi, un'altra L per gli zoppi. E oltre a quelle lettere ce n'erano altre, nascoste, che non venivano mai tracciate col gesso sulla spalla: J per chi era troppo ebreo, C per i cinesi, SE per chi veniva da troppo a sud e a est di Budapest. H era per il cuore, SC per il cuoio capelluto, X per i pazzi.
B stava per Bellissimo.
Le guardie si fecero da parte e io avanzai di qualche passo fino alla scrivania successiva. Feci risuonare i tacchi sulle piastrelle. Due belle sorelle si tennero abbracciate quando le respinsero. Senza genitori né figli, era fin troppo probabile che cadessero nelle mani di qualche malintenzionato che le aspettava sui moli di Manhattan o del New Jersey. Se erano fortunate, le avrebbero tenute sull'isola fino a quando avessero trovato qualche parente che venisse a prenderle; con meno fortuna gli avrebbero messo le mani addosso prima di lasciarle entrare; con meno ancora sarebbero state espulse, mandate indietro ancora prima di essere arrivate.
Allungai il passaporto e i documenti al funzionario dell'Ufficio immigrazione. Lui aprì il passaporto e ci trovò dentro il biglietto da dieci dollari che ci avevo infilato. La banconota sparì ancora prima che mi accorgessi che non c'era più. L'avevo portata via all'anarchico ansimante; era una perdita che non mi pesava. Poi il funzionario attaccò il ritornello, le domande che non potevo sbagliare.