Il mio nome è Selma. La coraggiosa testimonianza di una combattente della resistenza ebraica
Quando nel maggio del 1940 l'esercito del Terzo Reich invase i Paesi Bassi, la vita di Selma - spensierata studentessa ebrea diciottenne - cambiò per sempre. All'occupazione nazista, infatti, fece immediatamente seguito la persecuzione crudele e sistematica della popolazione ebraica. Allontanati dai luoghi di lavoro, spogliati di ogni diritto e proprietà, braccati dalla Gestapo, dalla polizia collaborazionista e dai tanti delatori, migliaia di ebrei olandesi furono deportati nei campi di sterminio, pagando, fra tutte le comunità dell'Europa occidentale, forse il prezzo più alto della Shoah. Molti, tuttavia, riuscirono a sfuggire alla cattura scegliendo la clandestinità e combattendo nelle file della resistenza. Selma fu una di loro. Per due anni, sotto il nome di «Marga» rischiò il tutto per tutto. Viaggiò come staffetta attraverso l'Olanda, il Belgio e la Francia per raccogliere informazioni, portare ordini, falsificare documenti di identità e tessere annonarie, dare rifugio ai giovani ricercati dai tedeschi. Contribuì alla fuga di centinaia di ebrei verso l'Europa meridionale e la Palestina. Fino a quando, nell'estate del 1944, venne arrestata e deportata, come prigioniera politica, a Ravensbrück, nel principale lager femminile della Germania nazista. A differenza dei genitori e della sorella che, come successivamente scoprì, morirono nei campi di sterminio, Selma riuscì a sopravvivere fino al giorno della liberazione sotto falsa identità. Soltanto a guerra terminata osò pronunciare per la prima volta dopo anni il suo vero nome. Selma. Ora, a novantanove anni, Selma van de Perre ripercorre una delle pagine meno note della storia della Seconda guerra mondiale, quella cioè che vide moltissimi ebrei partecipare attivamente alla lotta contro il nazismo, smentendo ancora una volta il luogo comune, così caro agli antisemiti e ai negazionisti di ieri e di oggi, delle vittime mansuete che si lasciarono condurre docilmente alle camere a gas. Entrando nella resistenza e scegliendo di sopravvivere a ogni costo, Selma, insieme a tanti altri, aveva sfidato la barbarie con la sola arma di cui disponeva, il coraggio. Per poter pronunciare di nuovo il proprio nome. Per dimostrare che all'orrore è possibile opporsi.
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